Azione di collazione ereditaria

Significato di collazione ereditaria

La collazione ereditaria è l’atto con il quale i discendenti ed il coniuge, che accettano l’eredità, conferiscono nell’asse ereditario quanto ricevuto in donazione.

Ratio della norma (ovvero il motivo) é quello di evitare una disparità di trattamento tra coeredi, sul presupposto che le donazioni effettuate in vita dal defunto possano considerarsi un’anticipazione sull’eredità.

1) Elementi distintivi con l’azione di riduzione

Rispetto alla riunione fittizia, che è mera operazione contabile funzionale all’accertamento della lesione della legittima, la collazione comporta un effettivo incremento dell’asse ereditario da dividere, e si distingue anche dall’imputazione ex se (con la quale il legittimario imputa alla propria quota di legittima tutto quello che ha ricevuto in donazione in vita dal de cuius), prevista dall’ art. 564 c.c., che é condizione per l’ esercizio dell’ azione di riduzione e che é volta ad evitare che il legittimario faccia valere il diritto alla quota di legittima anche per la parte già soddisfatta.

L’ obbligazione di collazione sorge quale effetto automatico dell’ apertura della successione, salvo che nello stesso atto di donazione il donatario non ne venga dispensato.

La collazione si distingue dalla riduzione delle donazioni.

Infatti quest’ ultima mira ad assicurare la parità di trattamento trai soggetti autori del conferimento, mentre la riduzione ha lo scopo di rendere inefficaci le liberalità del de cuius che abbiano leso il diritto del legittimario, così da integrare la quota di riserva.

La collazione esplica i propri effetti giuridici in ambito più vasto rispetto alla riduzione, la quale ha il solo scopo di recuperare i beni donati necessari per reintegrare la quota di riserva.

Sotto il concorrente profilo della legittimazione, mentre l’ azione di riduzione spetta al legittimario leso nella sua quota di legittima erga omnes il diritto alla collazione é attribuito ai discendenti e al coniuge contro il coerede che abbia ricevuto una donazione dal de cuius e non sia stato espressamente dispensato.

2) I soggetti e l’oggetto: donazioni dirette e indirette.

Oggetto della collazione sono tutte e solamente le donazioni, sia dirette che indirette, comprese, dunque, quelle di modico valore ( art. 783 c.c. ) e quelle remuneratorie ( art. 770 c.c. ).

Requisito fondamentale delle donazioni é innanzi tutto l’impoverimento del donante e l’arricchimento del donatario.

Sono oggetto di collazione le donazioni reali traslative ( trasferimento del diritto di proprietà o di altro diritto reale di godimento già esistente nel patrimonio del donante, le donazioni reali costitutive ( costituzione di un diritto reale nuovo ), le donazioni liberatorie ( liberazione del donatario da un’ obbligazione).

Sono soggette a collazione anche le donazioni indirette. Alcuni Autori ravvisano nella donazione indiretta un negozio atipico, ovverosia un collegamento negoziale tra un negozio – mezzo produttivo di effetti ( ad es. remissione del debito, adempimento del terzo etc… ), e un negozio – risultato, accessorio ed integrativo, intimamente connesso al primo.

Ai sensi dell’ art. 742, II co. c.c., non sono soggette a collazione le spese di mantenimento e di istruzione , salvo che eccedano notevolmente la misura ordinaria, sempre avendo riguardo all’ ambiente socio – culturale di riferimento.

In caso di acquisto, da parte del discendente o del coniuge, di beni con denaro gratuitamente fornito dal de cuius, costante giurisprudenza, a far data da Sezioni Unite n. 9282/92, afferma che la donazione indiretta (e quindi la collazione) ha ad oggetto il bene e non il denaro.

Secondo la motivazione della sentenza n. 9282/92quando il denaro é stato donato come tale , l’oggetto della collazione non può essere che il denaro stesso, che costituisce il bene di cui il genitore ha inteso beneficiare il figlio. Il successivo reimpiego della somma ricevuta non ha ovviamente rilievo, essendo estraneo alla previsione del donante. Diversa soluzione deve darsi invece al caso in cui il denaro sia dato al precipuo scopo dell’ acquisto immobiliare e quindi, o passato direttamente all’alienante dal genitore stesso, presente alla stipulazione intercorsa tra acquirente e venditore dell’ immobile, o pagato dal figlio dopo averlo ricevuto dal padre in esecuzione del complesso procedimento che il donante ha inteso adottare per ottenere il risultato della liberalità, con o senza la stipulazione in proprio nome di un contratto preliminare con il proprietario dell’ immobile. Posto così il problema, non pare revocarsi in dubbio che nella seconda ipotesi – dove c’ é un collegamento tra l’ elargizione del denaro paterno e l’ acquisizione dell’ immobile da parte del figlio – si sia in presenza di una donazione ( indiretta ) dello stesso immobile e non del denaro impiegato per il suo acquisto”.

3) La dispensa dalla collazione.

La dispensa dalla collazione, espressamente prevista dall’ art. 737 c.c., é il negozio giuridico con il quale il donante esime il donatario dall’obbligo di conferire ai coeredi ciò che abbia ricevuto dal defunto per donazione, vale a dire l’ operazione consistente nel conferimento di quanto ricevuto a titolo di liberalità in un’ unica massa al fine della distribuzione dell’ attivo tra i coeredi stessi.

Essa può risultare dal testamento, ovvero da una dichiarazione annessa alla donazione stessa.

Trattasi, secondo una parte della dottrina, di una disposizione accessoria,. parte di un unico negozio ( donazione con dispensa ).

Tale ricostruzione é conforme anche a giurisprudenza.

E’ tuttavia preferibile la ricostruzione che considera la dispensa dalla collazione come un negozio autonomo, ancorché collegato col negozio di donazione, e ciò precipuamente in quanto trattasi di negozio mortis causa.

Il disponente infatti viene a disciplinare una vicenda per il tempo in cui avrà cessato di vivere.

Ai fini dell’ operatività della dispensa, non é richiesta accettazione del donatario. La legge parla infatti unicamente di una “ dichiarazione di dispensa “, configurandola come espressione di una volontà unilaterale.

La disciplina non richiede un particolare formalismo, sempre ammesso che non si consideri la dispensa dalla collazione come un negozio accessorio.

Sotto il concorrente profilo della simulazione, sarebbe corretto affermare che non sia sufficiente accertare l’ esistenza della simulazione, bensì occorra anche verificare in concreto che scopo della simulazione sia stato porre la liberalità al riparo della collazione

3) Proposizione cumulativa delle domande di riduzione e di divisione

Bisogna anzitutto premettere che l’azione di riduzione e quella di divisione non sono forme di tutela omogenee, né dal punto di vista funzionale né da quello della tutela.

Mentre quella di riduzione é domanda giudiziale, come tale sempre proponibile in via principale ovvero riconvenzionale, la divisione presuppone la preventiva collazione. Quest’ ultima, oltre che domanda principale, può configurarsi anche come questione preliminare di merito, dedotta da una delle parti, ovvero quale questione incidentale conosciuta dal giudice sulla scorta del materiale probatorio acquisito agli atti del processo, il tutto nell’ ambito di una domanda di divisione.

Domanda di divisione e collazione, ad ogni modo, sono sempre strettamente correlate, tant’é che la domanda di collazione volta a ricostituire l’ asse ereditario é sempre in funzione di una divisione dell’ asse così formato, e non ai fini di un mero accertamento del relativo obbligo .

E’ opportuno segnalare una sentenza della Corte di Cassazione secondo la quale “ in tema di giudizio di divisione ereditaria , successivamente alla costituzione dei convenuti non può più essere chiesta la formazione della quota diversa da quella cui il giudice debba attenersi in relazione al patrimonio del de cuius individuato dalle parti nei loro scritti difensivi iniziali. Ne consegue che la deduzione del fatto che un condividente sia tenuto alla collazione di un bene donato, costituendo eccezione in senso proprio, in quanto diretta a paralizzare la pretesa di tale condividete a partecipare alla divisione secondo quanto gli spetterebbe ove tale donazione non avesse avuto luogo, é soggetta alle preclusioni di cui all’ art. 167 c.c. “.

Essendo la collazione non un’ azione bensì un istituto di diritto sostanziale, dal punto di vista processuale essa non deve tradursi necessariamente in una domanda giudiziale “ essendo sufficiente a tal fine la domanda di divisione e la menzione in essa dell’ esistenza di determinati beni facenti parte dell’ asse ereditario da ricostruire, quale oggetto di pregressa donazione “.

Con più stretto riferimento alla domanda di riduzione, invece, secondo Cassazione “ in tema di comunione ereditaria ed in ipotesi di domanda di divisione giudiziale, tutte le questioni che sorgono nel corso del giudizio vanno esaminate nell’ insieme dei rapporti reciproci dei condividenti, e quindi come incidenti relativi all’ unico, inscindibile giudizio principale.”.

Secondo la più autorevole giurisprudenza, sebbene sussista la possibilità che il giudizio di riduzione cumulato col giudizio di divisione si concluda con l’emanazione di un’ordinanza su accordo delle parti, tale processo ha natura eminentemente contenziosa, con la conseguenza che allo stesso si applicano integralmente le regole del processo di cognizione ordinario, compreso il regime delle preclusioni.

Ad ogni modo, la sentenza Cassazione n. 4149 /1992 ha fugato ogni dubbio: l’ azione di riduzione e l’ azione di divisione sono cumulabili.

Prof. Avv. Roberto Campagnolo,

“Le questioni processuali delle successioni che i notai non trattano.

“Introduzione alla nuova monografia”

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