Ricorso per petizione ereditaria

Che cos’è la petizione ereditaria?

La petizione ereditaria, ai sensi dell’ art. 533 del codice civile, é l’azione con la quale l’erede può chiedere il riconoscimento della sua qualità ereditaria contro chiunque possegga, in tutto o in parte, i beni ereditari a titolo di erede, o senza titolo alcuno, allo scopo di ottenere la restituzione dei beni medesimi.

Si tratta di un’azione a carattere universale volta al riconoscimento del titolo di erede, ed é un’azione di condanna, in quanto il suo scopo finale é quello di recuperare, in tutto o in parte, i beni ereditari posseduti dal convenuto.

Secondo il disposto dell’art. 533, 1° comma, c.c., la petizione ereditaria è l’azione con cui l’erede

“può chiedere il riconoscimento della sua qualità ereditaria contro chiunque possieda tutti o parte dei beni ereditari, a titolo di erede o senza titolo alcuno, allo scopo di ottenere la restituzione dei beni medesimi”.

L’art. 533 c.c. attribuisce la legittimazione attiva all’esercizio dell’azione di petizione al solo erede (o al coerede), sia legittimo che testamentario, il quale, chiamato all’eredità, l’abbia accettata, esplicitamente o tacitamente, con la sola proposizione dell’azione.

Legittimato passivo è colui il quale possiede beni ereditari vantando un titolo che invece non gli compete, ovvero chi possiede senza alcun titolo giustificativo.

Oggetto dell’azione sono tutti i beni ereditari o anche una parte o quota degli stessi. L’onere di provare che i beni appartenessero all’asse ereditario al tempo dell’apertura della successione spetta all’attore.

Oltre ad ottenere la condanna alla restituzione dei beni nei confronti di chi li possiede con titolo invalido o sine titulo, l’azione accerta la qualità di erede in capo all’attore, la quale una volta acquistata non viene meno (semel heressemperheres).

Nonostante l’affinità del petitum, l’azione di petizione di eredità si differenzia nettamente dall’azione di rivendica (rei vindicatio), poiché a differenza di questa non è volta a discutere il titolo in base al quale il de cuius aveva il possesso dei beni ereditari, ma ha per oggetto gli elementi costitutivi dell’asse ereditario.

L’attore può, quindi, limitarsi a provare la propria qualità di erede e la circostanza che i beni fossero compresi nell’asse ereditario al momento dell’apertura della successione (Cass. n. 11813/1992).

Nella pronuncia 08.10.2013, n. 22915 la Suprema Corte ha chiarito che la petizione ereditaria ha come presupposto la contestazione della qualità di erede da parte di chi è nel possesso dei beni ereditari. Nel caso in cui non vi sia contestazione, verrebbero meno le ragioni per proporre un’azione di petizione, potendo trovare luogo un’azione di rivendicazione, la quale ha il medesimo petitum.

L’azione di petizione di eredità è imprescrittibile, ex 533, 2° comma, c.c., fatti salvi gli effetti dell’intervenuta usucapione opposta dal convenuto sui singoli beni.

1) Caratteri dell’azione di petizione ereditaria

Formulazione delle domande nell’atto introduttivo

L’azione di petizione presuppone l’accertamento della qualità ereditaria in capo all’attore, il che comporta che tale petitum sia richiesto nell’atto introduttivo.

Malgrado l’affinità del petitum, la petizione ereditaria (petitio hereditatis) si differenzia tuttavia nettamente dalla rei vindicatio in quanto non è volta a discutere il titolo in base al quale il de cuius aveva il possesso dei beni ereditari, bensì ha per oggetto elementi costitutivi dell’asse ereditario. L’attore può dunque limitarsi a provare la propria qualità di erede ed il fatto che i beni, al tempo dell’apertura della successione, fossero compresi nell’asse ereditario.

Tale azione può inoltre proporsi contro il terzo sfornito di titolo al fine dell’acquisto di beni da lui illegittimamente detenuti.

Più in particolare, la petizione ereditaria, intesa a conseguire il rilascio dei beni ereditari, può essere esperta sia contro colui che vanta un titolo ereditario che non gli compete ( possessio pro herede ) sia contro chi li possiede senza titolo alcuno ( possessio pro possessore ), previo accertamento in capo all’attore della qualità di erede.

Il giudice del merito qualificherà la domanda sulla base dei fatti prospettati e dedotti dalla parte che l’ha proposta, prescindendo dal nomen juris, ossia dalla qualificazione giuridica indicata nell’atto introduttivo e nelle successive difese, salvo il divieto di ultrapetizione.

2) Questioni sulla competenza e sulla legittimazione

L’art. 533 attribuisce la titolarità della petizione ereditaria al solo erede o coerede, il quale, chiamato all’ eredità, l’abbia accettata, esplicitamente ovvero implicitamente, per il solo fatto di aver proposto l’ azione.

Dato il formarsi, fra le parti, del giudicato sul punto, la riconosciuta qualità di erede non potrà più essere messa in discussione .

Nel caso di legittimario preterito, solo all’ esito vittorioso dell’ azione di riduzione egli potrà esercitare la petizione di eredità avente ad oggetto la quota spettantegli.

L’ azione può essere esercitata anche contro il coerede il quale contesti all’ attore, in tutto o in parte, la sua partecipazione all’ eredità.

I creditori dell’ erede possono esercitare in via surrogatoria la petizione dell’ eredità, ma non così, secondo dottrina, il terzo, il quale può bensì acquistare diritti sui beni ereditari, ma non la qualità di erede.

Legittimato passivo è colui il quale possiede beni ereditari vantando un titolo possessorio che non gli compete. Tale possessore può essere addirittura sine titulo , ossia non vantare alcuna giustificazione del suo possesso ( possideo quia possideo ). Legittimato passivo può essere anche il semplice detentore, come sostiene la dottrina, interpretando estensivamente le norme sulla rivendica.

Per quanto concerne la competenza, é pacifico che competente per valore é il Tribunale, trattandosi di azione di valore indeterminabile ( art. 9 co. 2 c.p.c. ), sia in caso di petizione di beni ereditari che di solo accertamento della qualità di erede.

E’ competente per territorio il giudice del luogo di apertura della successione ( art. 22 n. 1 c.p.c. ).

Le altre azioni di tutela: azioni possessorie a cautelari.

Sia il chiamato all’ eredità che l’ erede possono agire a tutela delle loro posizioni giuridiche.

Più in particolare il chiamato all’ eredità che non abbia ancora accettato può esercitare azioni di natura prevalentemente cautelare .

Il chiamato all’ eredità può esercitare le azioni possessorie a tutela dei beni ereditari, senza bisogno della materiale apprensione degli stessi. Può inoltre chiedere all’ Autorità giudiziaria l’ autorizzazione a vendere quei beni che non si possono conservare ola cui conservazione richieda grave dispendio , con le procedure di cui agli art.. 747 e 748 c.p.c.

Natura cautelare ha pure la procedura prevista dall’ art. 752 c.p.c. dove si prevede che l’ esecutore testamentario, coloro che hanno diritto alla successione, le persone che abitavano col defunto e i creditori possono chiedere al Tribunale ovvero, in caso d’ urgenza, al Giudice di Pace l’ apposizione di sigilli sui beni del defunto, stante il pericolo di sottrazione.

Ai sensi del primo comma dell’ art. 460 c.c., colui che é chiamato all’ eredità ha la possibilità di esercitare le azioni possessorie a tutela dei beni ereditari, anche in difetto di materiale apprensione. Trattasi, in buona sostanza, delle azioni di manutenzione e di reintegrazione , che riguardano sia i beni sussistenti nel patrimonio del de cuius al momento della morte, sia quelli cui avesse subito molestie o spoglio in vita, ovviamente entro il termine annuale.

Dottrina e giurisprudenza hanno a lungo dibattuto se le azioni possessorie possano essere esercitate unicamente dall’ erede il quale abbia già accettato l’ eredità, ovvero da colui il quale abbia sul bene non già un possesso qualificato, essendo ciò impossibile in presenza almeno di un curatore dell’ eredità, bensì l’ animus possidendi, ossia quello di colui che vanta un diritto su ciò che ancora non gli appartiene, giuridicamente parlando.

Ciò appare più conforme a diritto, dovendo assicurare l’ integrità e la conservazione dei beni facenti parte dell’ asse ereditario.

In definitiva, poiché, ai sensi dell’ art. 1146 c.c. il possesso continua, con effetto dall’ apertura della successione, nell’ erede, quest’ ultimo, alla morte del possessore, é legittimato a promuovere le azioni di manutenzione e di reintegrazione previste dagli art. 1168 e 1170 c.c.

All’ uopo si cita la sottoscritta pronuncia della Cassazione n. 8075/2003 la quale, decidendo circa la reintegrazione nel possesso di una casa d’ abitazione sita in Civita d’ Antino e degli arredi in essa contenuti, di cui le ricorrenti erano eredi, della quale in costanza di vita del de cuius godevano l’ usufrutto e di cui avevano sofferto spoglio durante il periodo di assenza del defunto, chiarisce ulteriormente che, costituendo il possesso, per la norma di cui all’ art. 1140 c.c., un potere di fatto che si manifesta non solamente in un’ attività corrispondente all’ esercizio della proprietà, ma di ogni altro diritto reale, l’ erede che possedeva il bene in qualità di usufruttuario é legittimato ad esperire i rimedi contro chiunque compia atti di spoglio o di turbativa.

In definitiva, l’ erede acquista il possesso dei beni del de cuius dall’ apertura della successione senza compiere alcuna materiale apprensione, essendo sufficiente l’ animus possidendi.

Prof. Avv. Roberto Campagnolo,

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