Come si divide la comunione
- Le tipologie di divisione: la divisione testamentaria, contrattuale e giudiziale
- Le divisioni plurimasse: problematiche connesse
- Gli immobili “non comodamente divisibili”: criteri per il diritto all’assegnazione
- Le modalità di divisione: il principio cardine di cui art. 727 c.c. e sua derogabilità
- Le obbligazioni derivanti dalla divisione
- Il nuovo art 791 bis c.p.c. introdotto con il D.L. “Del Fare”:
Il giudizio di divisione ereditaria e le accortezze processuali da adottare
- Le domande di divisione ereditaria: redazione dell’atto introduttivo
- La fase probatoria e gli oneri di parte attrice
- La pronuncia del Giudice sulla domanda di divisione
- La vendita di mobili e di immobili
- Progetto di divisione e relative contestazioni: problematiche
- Ordinanza di esecutività: presupposti e impugnabilità
I debiti e crediti ereditari
- La sorte dei debiti in presenza di una pluralità di eredi
– il principio dell’automatica divisione dei debiti ereditari
– conseguenze nei rapporti interni e nei confronti dei creditori
– la clausola di rinuncia alla divisibilità dell’obbligazione, per sé e per i propri eredi, contenuta nei contratti bancari
- La sorte dei crediti in presenza di una pluralità di eredi
– i dubbi sull’automatica divisione dei crediti
– la riscossione del credito: litisconsorzio necessario o facoltà di ciascun coerede di agire individualmente?
L’impugnazione della divisione
- L’annullamento per violenza o dolo e le altre cause di impugnazione
- Gli effetti della sentenza di annullamento
- L’omissione di beni ereditari ed il rimedio del supplemento di divisione
- La rescissione per lesione
- Il ripristino della comunione ereditaria conseguente alla rescissione
2° INCONTRO
IL GIUDIZIO DI DIVISIONE EREDITARIA: CRITICITA’
A) Come si divide la comunione
1) Le tipologie di divisione: la divisione testamentaria, contrattuale e giudiziale.
La divisione ereditaria non differisce da quella ordinaria, abbia essa la sua fonte nella successione a causa di morte, legittima o testamentaria, ovvero in una comunione di beni.
Le norme sulla divisione in generale sono quindi applicabili anche alla divisione ereditaria.
Il legislatore ha previsto vari modi per attuare la divisione ereditaria: la divisione giudiziale, il contratto di divisione e la divisione testamentaria.
Ai sensi del nostro codice di rito, le domande di scioglimento della comunione ereditaria debbono proporsi nei confronti di tutti gli eredi.
Le operazioni di divisione sono dirette dal Giudice Istruttore, il quale può delegare la divisione a un notaio.
Il Giudice Istruttore propone un progetto di divisione, che dichiara esecutivo in contraddittorio con tutte le parti.
Delle operazioni effettuate viene quindi redatto processo verbale.
Quando il giudizio si sia svolto senza contestazioni il procedimento potrà rientrare nell’ ambito della volontaria giurisdizione; in caso in cui invece la determinazione delle porzioni della cosa comune e la loro attribuzione siano fissate dall’ Autorità giudiziaria con provvedimento vincolante per tutti gli interessati, si rientrerà nel campo della giurisdizione contenziosa.
La divisione ereditaria costituisce scioglimento della comunione ereditaria, la quale si differenzia dalla comunione ordinaria in quanto non ha ad oggetto un singolo bene, bensì il patrimonio intero del defunto.
La divisione contrattuale si attua allorquando gli eredi raggiungano un accordo sulle modalità della divisione stipulando il relativo contratto.
Tale divisione ereditaria ha natura dichiarativa, e non costitutiva, e così anche il relativo contratto, il quale, di conseguenza, ha effetto retroattivo attribuendo il diritto su ogni singolo bene a ciascun erede sin dal momento della successione.
La divisione del testatore, ai sensi degli artt. 734 e 735 c.c., ha lo scopo di formare le pozioni spettanti a ciascun successore, ricomprendendo non solo la quelle disponibili, ma anche quelle destinate ai legittimari.
2) Le divisioni plurimasse: problematiche connesse.
Ai sensi dell’ art. 34 del T.U. d.p.r. 26 aprile 1986, n. 131, “ le comunioni che trovano origine in più titoli sono considerate una sola comunione se l’ ultimo acquisto di quote deriva da successione a causa di morte “.
Ad esempio, A e B acquistano in comune un terreno per compravendita, quindi ereditano una casa dal padre, in parti uguali e indivise. Siamo in presenza di due masse, essendo due i titoli originati; tuttavia, in virtù del 1 comma dell’ art. 34, esse sono fisicamente considerate un unica comunione.
In un altro caso, A e B acquistano, con due distinti atti tra vivi, prima un terreno e poi una casa; muore A e gli succede il figlio X; muore B e gli succede il figlio Y; anche in questo caso X e Y sono compartecipi di due masse comuni, perché sono subentrati pro quota nella contitolarità di due comunioni già esistenti.
Le due comunioni sono fra i medesimi soggetti e l’ ultimo acquisto di quote é mortis causa; orbene, la circolare ministeriale che ha fornito un’ interpretazione autentica della sopraindicata norma richiede che la successione a causa di morte dalla quale deriva l’ ultimo acquisto di quote riguardi tutti i condividenti,; richiede inoltre che gli acquisti precedenti, da qualsiasi titolo derivino, riguardino ancora tutti i condividenti.
Tale norma non lascia spazio a dubbi interpretativi: l’ acquisto può avere ad oggetto quote relative anche a precedenti comunioni.
Inoltre, si ritiene comunemente che le cessioni di quote fatte tra coeredi o comunque fra contitolari sia di una che di più masse comuni, fiscalmente considerate come massa unica, godano dell’ applicazione del trattamento tributario previsto per le divisioni di massa unica.
Tale interpretazione della norma sovraesposta é iconforme alla sua ratio: l’ ultimo acquisto di quote deve essere avvenuto mortis causa.
In buona sostanza, il problema delle c.d. “ masse plurime “ sorge ogniqualvolta si debba procedere alla divisione di più beni comuni acquistati dagli stessi soggetti, nelle medesime quote, in virtù di una pluralità di titoli . [1]
La divisione ereditaria di masse plurime costituisce un caso particolare e peculiare di questo istituto, appartenente latu sensu alla divisione tout court.
Il sistema di diritto privato esprime in genere un netto sfavore per la comunione, ancor più se ereditaria. Se il principio generale é quello della pluralità di divisioni in presenza di una pluralità di masse, per derogare a questo principio deve sussistere l’ accordo di tutti i comunisti, formalizzato in un atto il quale consenta il conferimento di tutti i beni in una massa unica.
Da un punto di vista squisitamente procedurale, il comportamento di una delle parti la quale non si sia opposta alla domanda di divisione unica nel giudizio di primo grado non impedisce a quest’ ultima di proporre appello per denunciare la sentenza che ha accolto tale domanda [2] .
in altri termini, il principio generale é quello della pluralità di divisioni quando vi é una pluralità di masse “ per derogare al principio sopra enunciato ( pluralità di divisioni ) é necessario che le parti vi consentano.
Il consenso, evidentemente, deve concretarsi nel conferimento di tutte le masse in una sola onde, diventata questa unica, sia possibile una divisione unica “.
Il diritto alla divisione, ad ogni buon conto, é comunque un diritto come un altro, e come tale ha propri presupposti sia de facto che de jure . Esso, inoltre, ha una particolare doppia struttura: è causa la quale produce l’ effetto della divisione, ma, proprio per questo, é anche effetto prodotto dalla fattispecie comunione.
Può, per completezza, segnalarsi che la divisione avente ad oggetto una pluralità di masse, tutte di provenienza successoria, nelle quali siano compresi dei suoli, non richiede neppure il rispetto dell’obbligo di allegazione del certificato di destinazione urbanistica. Le assegnazioni restano, infatti, comunque di tipo “ereditario” sia nel caso in cui i terreni attribuiti ai condividenti abbiano una comune fonte (restando indivisi i beni aventi un’altra origine successoria), sia nel caso in cui la provenienza di ciascuno (o alcuno) dei suoli assegnati sia diversa.
In quest’ ultimo caso, il fatto che l’attribuzione ai condividenti riguardi terreni provenienti da diverse successioni non fa perdere in alcun modo il connotato dell’ ereditarietà all’atto di scioglimento .
2) Gli immobili “non comodamente divisibili”: criteri per il diritto all’assegnazione.
In tema di divisione ereditaria l’art. 720 cod. civ. prende in considerazione l’eventualità in cui nella comunione si rinvengano beni immobili non comodamente divisibili, ossia la cui divisione non possa effettuarsi senza il loro frazionamento
In tal caso è preferibile che il bene venga compreso per intero, con addebito dell’eccedenza, nella porzione di uno dei contitolari aventi diritto alla quota maggiore. Se ad esempio Tizio, Caio e Sempronio sono contitolari rispettivamente per la quota di una metà il primo, di un quarto ciascuno il secondo ed il terzo di un bene immobile non comodamente divisibile, l’immobile stesso potrà essere interamente assegnato a Tizio, ponendo a carico di costui l’obbligo di corrispondere agli altri due contitolari una somma pari al valore della quota loro spettante.
Tale principio é stato applicato in caso di conversione in denaro del diritto di abitazione sulla casa ex coniugale in favore del coniuge superstite sulla quota di proprietà del de cuius
Il principio è stato reputato applicabile anche per giustificare la conversione in denaro del diritto di abitazione sulla casa coniugale insistente in favore del coniuge superstite sulla sola quota già di proprietà del de cuius. Peraltro il criterio dell’assegnazione al titolare della maggior quota in parola non è assoluto, potendo il giudice discostarsi dallo stesso, purché fornisca idonea motivazione.
2) Le modalità di divisione: il principio cardine di cui art. 727 c.c. e sua derogabilità
L’art 727 del codice civile, intitolato ” Norme per la formazione delle porzioni” così dispone:
Salvo quanto è disposto dagli articoli 720 e 722, le porzioni devono essere formate, previa stima dei beni, comprendendo una quantità di mobili, immobili e crediti di eguale natura e qualità, in proporzione dell’entità di ciascuna quota.
Si deve tuttavia evitare, per quanto è possibile, il frazionamento delle biblioteche, gallerie e collezioni che hanno una importanza storica, scientifica o artistica.
La Corte di Cassazione, tuttavia, afferma che: “ resta in facoltà del Giudice della divisione formare i lotti anche in maniera diversa, qualora ritenga che l’interesse dei condividenti sia meglio soddisfatto attraverso l’attribuzione di un intero immobile, piuttosto che attraverso il suo frazionamento, ed il relativo giudizio è incensurabile in Cassazione se adeguatamente motivato “ .
La formazione delle porzioni, in questo e in consimili casi, avviene mediante divisione con conguagli in denaro, ad esempio allorché si sia in presenza di beni indivisibili ( artt. 720 – 722 ), i quali pertanto vengono assegnati per inero ad un’ unica porzione, ovvero le porzioni, ancorché omogenee, non risultino convenientemente ed esattamente divisibili in quote.
Autorevole dottrina osserva come l’ esistenza di conguagli importi il sorgere ex lege di altrettanti rapporti obbligatori fra condividenti: il condividente la cui porzione in natura ecceda il valore della rispettiva quota diventa debitore per la differenza nei confronti del comunista la cui porzione sia risultata di valore inferiore rispetto alla corrispettiva quota.
Ad ogni buon conto, nel formare le porzioni anche dei legittimari il testatore ha comunque ampia facoltà, potendo egli formare porzioni non omogenee, a differenza di quanto avviene in caso di comunione ordinaria.
3) Le obbligazioni derivanti dalla divisione
Il negozio divisorio ha per oggetto lo scioglimento della comunione e la trasformazione dei diritti dei partecipanti su quote ideali in diritti individuali su singoli beni.
Più in particolare il contratto di divisione é un contratto a più parti ma non plurilaterale, e ad esso non può essere applicata la disciplina sulla invalidità e nullità parziale ( artt. 1420, 1446, 1459 e 1466 ).
La dottrina é divisa circa la natura dichiarativa o costitutiva della divisione; ad ogni buon conto, essa gode del requisito della retroattività, e ciò é ben compatibile con un negozio ad efficacia costitutiva e non di semplice accertamento.
I creditori dei condividenti ed i loro aventi causa possono ( anzi, devono in caso di creditori ipotecari o di aventi causa per diritti immobiliari trascritti anteriormente alla domanda di divisione ), essere chiamati ad intervenire nel giudizio, altrimenti la divisione non ha effetto nei loro confronti.
Ciascun partecipante alla comunione, inoltre, può esigere che siano estinte le obbligazioni in solido contratte per la cosa comune, le quali siano scadute entro l’ anno della domanda di divisione.
La più importante applicazione di tale principio riguarda la ripartizione delle spese nel condominio. Più in particolare, la disposizione di cui all’ art. 1294 c.c. opera nei rapporti esterni ( condominio e terzi ), mentre nei rapporti interni tra condomini l’ obbligo é parziario ai sensi dell’ art. 1123 c.c.
L’ effetto retroattivo della divisione cancella la comunione solo limitatamente alla titolarità dei beni, ma non copre la totalità degli effetti nascenti da tale rapporto: si ritiene dunque comunemente che il condividente non debba restituire i frutti percepiti durante lo stato di comunione.
4) Il nuovo art 791 bis c.p.c. introdotto con il D.L. “Del Fare”.
La disposizione n. 69/2913 ( d.l. del fare ), introduce la cosiddetta “ divisione a domanda congiunta », una procedura semplificata rispetto alla divisione giudiziale “ordinaria“, in quanto essa presuppone che non sussista controversia sul diritto alla divisione né sulle quote dei comproprietari né su altre questioni pregiudiziali “.
Il nuovo art. 791 bis indica gli avvocati, accanto ai notai, in qualità di professionisti deputati alla gestione del processo di divisione.
Trattasi di una norma, fortemente voluta dal Consiglio Nazionale Forense, la quale stabilisce che le parti interessate alla divisione possono presentare ricorso congiunto al giudice per chiedere la nomina di un notaio o di un avvocato, entrambi con potere di autenticazione delle firme; una novità per gli avvocati.
Mentre infatti i notai sono una categoria deputata istituzionalmente all’ autenticazione delle firme, questo nuovo procedimento potrebbe costituire uno sbocco professionale per gli avvocati, già chiamati a nuovi ruoli quale giudice ausiliario, ovvero negli organismi di mediazione ereditaria e conciliazione.
La nuova disposizione prevede che sia necessaria una richiesta congiunta di tutti gli aventi titolo allo scioglimento della comunione – condividenti, creditori e aventi causa – perché altrimenti il provvedimento di delega adottato dal giudice decadrebbe per legge.
In base all’articolo 791-bis del Codice di procedura civile deve essere comunque il giudice a nominare il professionista incaricato, eventualmente indicato dalle parti; se su questa indicazione non si troverà un accordo, lo sceglierà il giudice.
Spetterà dunque al professionista predisporre il progetto di divisione e la successiva vendita, alla quale, in quanto compatibili, si applicheranno le norme sulle esecuzioni immobiliari.
Il giudizio di divisione ereditaria e le accortezze processuali da adottare
1) Le domande di divisione ereditaria: redazione dell’atto introduttivo
– La fase probatoria e gli oneri di parte attrice
– La pronuncia del Giudice sulla domanda di divisione
– La vendita di mobili e di immobili
– Progetto di divisione e relative contestazioni: problematiche
Il giudizio di divisione, stante la sua natura contenziosa, benché rientri nei procedimenti speciali, é introdotto con atto di citazione.
La domanda per ottenere la divisione di beni ereditari o lo scioglimento di qualunque tipo di comunione deve essere proposta nei confronti di tutti gli eredi o condomini, nonché nei confronti degli eventuali creditori opponenti ( artt. 784 e segg. c.p.c, ).
In caso di mancata contestazione il Giudice provvede con ordinanza, altrimenti provvede con sentenza previa istruzione della causa, provvedendo a dare nel corso di essa le opportune direttive ovvero a delegarle ad un notaio.
Provvede altresì con ordinanza alla vendita di beni mobili e immobili in caso di mancanza di contestazione fra le parti, altrimenti vi provvede il collegio.
La vendita di beni mobili si esegue sempre con sentenza e all’ incanto.
Successivamente il Giudice predispone un progetto di divisione che viene depositato in cancelleria, e fissa con decreto l’ udienza di discussione del progetto disponendo la comparizione delle parti e degli eventuali creditori.
Ove non sorgano contestazioni il giudice dichiara esecutivo il progetto con ordinanza non impugnabile, altrimenti provvede all’ istruzione della causa, all’ esito della quale emette sentenza impugnabile con gli ordinari mezzi di gravame.
A seguito dell’entrata in vigore del d. lgs. 28/2010, il giudizio di divisione deve, tuttavia, essere preceduto, a pena d’improcedibilità, dal previo esperimento del tentativo di conciliazione.
La domanda di divisione deve coincidere, infatti, sia sotto il profilo soggettivo che sotto quello oggettivo, con il tentativo di conciliazione, secondo quanto concordemente affermato dalla giurisprudenza di merito .
Nel giudizio di divisione deve ritenersi procedibile la domanda nonostante l’attore, nel corso del procedimento di conciliazione, abbia posto a fondamento del suo diritto di comproprietà un titolo diverso rispetto a quello successivamente dedotto al momento dell’instaurazione del giudizio, costituendo ciò soltanto un’integrazione delle difese sul piano probatorio, integrazione non configurabile come domanda nuova.
L’ampliamento dell’ an dividendum sit rispetto a quello delineato nell’atto introduttivo del procedimento di mediazione comporta nuova domanda per mutamento del “petitum” .
Benchè non possa, in sede giudiziaria, essere ampliata la domanda rispetto a quanto formulato nel tentativo di conciliazione, é possibile formulare domanda riconvenzionale avente ad oggetto quanto trattato in sede di tentativo di conciliazione, in contraddittorio tra tutte le parti, ancorché questo si sia svolto su istanza della sola parte attrice.
In difetto di esperimento, seppure negativo, del tentativo di conciliazione, parte convenuta deve limitarsi, al fine di resistere alle altrui pretese, a proporre mere eccezioni in senso proprio, negando fondamento alla pretesa di controparte.
Una diversa interpretazione contrasterebbe con i principi costituzionali di cui agli artt. 3 e 24 Cost., dal momento che, in tal caso, il Giudice dovrebbe, da un lato, dichiarare improponibile l’eccezione del convenuto, in quanto non preceduta dal tentativo di conciliazione, e, dall’altro, accogliere sempre la domanda dell’attore.
Nell’ atto introduttivo del giudizio deve essere formulata, a pena di nullità, la richiesta di attribuzione dell’ intero immobile non comodamente divisibile, ai sensi dell’ art. 732 c.c., a favore dei coeredi, la quale ha natura di diritto potestativo.
Analogamente, in tema di responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli e natanti ed in relazione all’abrogato art. 22 della legge 24 dicembre 1969, n. 990, la relativa condizione di proponibilità dell’azione risarcitoria trova applicazione, secondo la propria ratio, anche con riguardo alla domanda riconvenzionale avanzata dal convenuto, che indichi a sua volta la responsabilità dell’attore .
Va osservato, tuttavia, che il provvedimento scelto dal Legislatore per la proposizione della domanda di divisione é l’ ordinanza resa dal Giudice dell’ esecuzione ai sensi dell’ art. 600 c.p.c.
Tale istanza concorre con l’ atto di citazione ed é equivalente ad essa, posto comunque il rispetto del principio del contraddittorio.
In tema di ammissione dei mezzi istruttori, è evidente che, laddove sia stata superata la fase dell’ an dividendum sit, e fatte salve le eventuali richieste istruttorie in tema di rendiconto, il giudizio sarà incentrato sulle indagini del perito nominato ai sensi dell’art. 194 disp. att. c.p.c.
Nella fase di giudizio, tuttavia, si possono proporre cumulativamente più azioni. Pertanto, o si valorizza l’autonomia delle stesse, e si invitano le parti a fare deduzioni istruttorie in relazione ad ognuna di esse, secondo l’ordine logico ritenuto più opportuno, ammettendo poi singolarmente i relativi mezzi di prova, ovvero ne risulta una maggiore articolazione degli stessi, di modo che siano ammesse una tantum tutte le prove ritenute necessarie.
Questa seconda tesi é in linea con il sistema delle preclusioni, ma comporta un certo appesantimento del giudizio.
Il Legislatore lascia i condividenti liberi di ripartire i beni comuni nel modo da loro ritenuto più opportuno.
In caso, tuttavia, di divisione giudiziale, la decisione del Giudice riguarda tutti i condividenti, ed altresì i loro creditori.
E’ infatti caratteristica peculiare del procedimento di divisione la partecipazione di tutti i soggetti contitolari del diritto di comunione .
I creditori dei condividenti e i loro aventi causa possono intervenire a loro spese per fare opposizione. Anzi, in caso si tratti di creditori ipotecari o di diritti trascritti anteriormente alla trascrizione della domanda di divisione essi devono essere chiamati ad intervenire, altrimenti la divisione non ha effetto nei loro confronti.
Al fine di formare porzioni di valore corrispondente alla quota risultante dal progetto di divisione é necessario stimare i beni dividendi. E’ inoltre necessario procedere alla vendita dei beni immobili non comodamente divisibili, qualora i condividenti non si accordino sul ricomprenderli ciascuno in un’ unica porzione, con conguaglio per l’ eccedenza.
Tutto ciò é oggetto di decisione da parte del Giudice.
La pronuncia del giudice riguarderà la divisione vera e propria, con formazione delle porzioni in proporzione delle rispettive quote dei condividenti ed eventuali conguagli in denaro.
Se i coeredi aventi diritto a più di metà dell’ asse ereditario concordano sulla necessità della vendita per il pagamento dei debiti ereditari si procederà alla vendita ad incanto dei beni mobili e, se occorre, di beni immobili.
2) Ordinanza di esecutività: presupposti e impugnabilità.
L’ ordinanza che, ai sensi dell’ art. 789 c.p.c., dichiara esecutivo il progetto di divisione della comunione immobiliare, in presenza di contestazioni fra le parti, ha natura di sentenza. ed é quindi impugnabile con l’ appello.
Esaminiamo ora la sentenza Cassazione civile, Sezioni Unite, del 2.10.2012, n. 16727.
Con l’unico motivo di ricorso, la B. ha denunciato la nullità della suddetta ordinanza oltre che del procedimento per violazione e falsa applicazione di norme con riferimento all’art. 789 c.p.c., comma 3, avendo il designato Giudice Istruttore adottato l’ordinanza dichiarativa dell’esecutività del progetto di divisione, malgrado non sussistesse il presupposto della mancanza di contestazioni.
La Seconda Sezione Civile ha ritenuto che la decisione del ricorso implicasse la questione di particolare importanza se lo strumento di impugnazione esperibile avverso l’ordinanza emessa dal giudice istruttore ai sensi dell’art. 789 c.p.c., comma 3, malgrado la presenza di contestazioni o di altri impedimenti processuali, sia l’appello o il ricorso straordinario per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost..
Orbene, alla luce dell’art. 789 cod. proc. civ., comma 3, una volta tenutasi l’udienza di discussione del progetto di divisione, questo può essere dichiarato esecutivo dal giudice unicamente ove non siano sorte al riguardo contestazioni tra i condividenti, con ordinanza; in caso di contestazioni, invece, il giudice deve provvedere a norma dell’art. 187 cod. proc. civ., decidendo con sentenza dopo trattazione della causa.
In quest’ ultimo caso, qualora la forma del provvedimento emesso dal Giudice sia ancora un’ ordinanza, esso è comunque pronunciato da un organo avente in ogni caso potere decisorio e, pur non avendo la forma di sentenza di cui all’art. 788 cod. proc. civ., comma 2 ne ha comunque il contenuto, onde lo strumento di impugnazione esperibile avverso di esso sarà l’appello, e non il ricorso straordinario per Cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost. .
Al contrario, l’ordinanza del giudice istruttore ex art. 789 c.p.c., comma 3, emessa per mancanza di contestazioni sul progetto divisionale, si ritiene non impugnabile perchè si limita a prendere atto dell’esistenza di un accordo delle parti in ordine al suddetto progetto, e risulta pertanto priva di contenuto decisorio, con conseguente inammissibilità del ricorso per Cassazione ex art. 111 Cost..
Ciò costituisce applicazione del principio della prevalenza della sostanza sulla forma. Infatti ragioni di certezza devono indurre a considerare il provvedimento non rispondente al modello legislativo per il suo contenuto effettivo, e non già per la sua forma, ai fini della individuazione del regime impugnatorio praticabile.
In definitiva, ove si riconosca all’ ordinanza con la quale viene dichiarato esecutivo il progetto di divisione efficacia di sentenza, in quanto decisoria in ordine ai diritti delle parti, il regime impugnatorio non può essere altro che quello dell’ appello.
C) I debiti e crediti ereditari
1) La sorte dei debiti in presenza di una pluralità di eredi:
– il principio dell’automatica divisione dei debiti ereditari
– conseguenze nei rapporti interni e nei confronti dei creditori
La sorte dei crediti in presenza di una pluralità di eredi:
– i dubbi sull’automatica divisione dei crediti
– la riscossione del credito: litisconsorzio necessario o facoltà di ciascun coerede di agire individualmente?
La disciplina codicistica non contempla una normativa specifica in materia di ripartizione di crediti e debiti ereditari, ma si limita a regolare normativamente certi aspetti in tema di rapporti fra coeredi.
Si tratta, in particolare, degli artt. 752 e 754 c.c., collocati nel Libro II, tit. IV, relativo alla divisione ereditaria. L’art. 752 c.c. impone ai coeredi di contribuire al pagamento dei debiti ereditari parziariamente, ciascuno in proporzione della propria quota, a meno che il testatore non abbia diversamente disposto. La norma in esame va letta in combinato disposto con l’art. 754 c.c., che regola l’ipotesi in cui uno dei beni assegnati all’erede sia già sottoposto ad ipoteca a garanzia di un debito del de cuius: in tal caso, in virtù del principio di indivisibilità delle garanzie reali, il creditore conserva la garanzia per l’intero ammontare a carico di colui che sarà proprietario del bene ipotecato. Il coerede/proprietario del bene ipotecato, che abbia pagato oltre ciò che gli spetta in ragione della sua quota, potrà tuttavia rivalersi nei confronti degli altri coeredi a norma dell’art. 752 c.c.
In buona sostanza, i rapporti erede – creditori non rilevano nei rapporti interni fra coeredi.
Secondo un risalente orientamento dottrinale, il coerede non é solo contitolare dei beni ereditari, ma subentra invece nell’universum ius defuncti.
Sulla base del noto principio derivante dal diritto romano nomina et debita ipso iure dividuntur [12], i debiti ed i crediti si dividono automaticamente tra i coeredi in ragione delle rispettive quote; dunque il credito che apparteneva al de cuius si dovrebbe frazionare autonomamente in tanti crediti parziari quanti sono i coeredi e, pertanto, non entrare in comunione.
Il problema se il principio della divisione automatica fra coeredi si applichi anche ai rapporti interni fra gli stessi ha dato origine ad un’ annosa questione, la quale ha trovato ora un punto fermo in virtù della decisione della Corte di Cassazione a Sezioni Unite, la quale [13] ha affermato il contrario principio secondo cui i crediti del de cuius non si dividono automaticamente tra i coeredi in ragione delle rispettive quote, ma entrano a far parte della comunione ereditaria [14].
Secondo quanto affermato da Cass. Sezioni Unite n. 24657/2007 “ la prima disposizione, stabilendo che le porzioni debbono essere formate comprendendo nelle stesse, oltre ai beni immobili e mobili anche i crediti, presuppone evidentemente che gli stessi facciano parte della comunione. La seconda, prevedendo che il coerede al quale sino assegnati tutti i crediti [o] l’unico credito del de cuius è reputato il solo successore nei crediti dal momento dell’apertura della successione, rivela inequivocabilmente che i crediti non si ripartiscono tra i coeredi in modo automatico, ma ricadono nella comunione ereditaria. Una conferma si trae anche dalla disposizione dell’art. 760 cod. civ., che, escludendo la garanzia per l’insolvenza del debitore di un credito assegnato a uno dei coeredi, presuppone necessariamente che questi siano inclusi nella comunione “.
La causa è stata rimessa alle Sezioni Unite per l’esame della questione concernente la configurabilità di un litisconsorzio necessario tra gli eredi del creditore nell’azione per il pagamento di somme dovute al loro dante causa. Orbene, pur senza addentrarsi nell’esame delle tesi elaborate dalla dottrina e dalle giurisprudenza in ordine all’istituto del litisconsorzio necessario, giova rilevare come in proposito si fosse registrato un contrasto giurisprudenziale in sede di giudizio di legittimità.
Un primo e più risalente indirizzo affermava che i crediti, analogamente ai debiti del de cuius, si dovessero dividere automaticamente tra i coeredi in ragione delle rispettive quote. A conclusioni opposte era invece giunta Cass. 13 ottobre 1992 n. 11128, che affermava che i crediti del de cuius, a differenza dei debiti, non si dividono automaticamente tra i coeredi in ragione delle rispettive quote, ma entrano a far parte della comunione ereditaria [15]. La tesi accolta dalle Sezioni Unite Le Sezioni Unite condivide, come già esposto, l’indirizzo da ultimo richiamato per quanto attiene al regime di comunione dei crediti ereditari.
Secondo il supremo Giudice di legittimità, il principio tradizionale della ripartizione automatica tra i coeredi è stabilito solo per i debiti dall’art. 752 cod. civ., mentre la disciplina dei crediti ereditari può ricavarsi dagli artt. 727 e 757 c.c. La prima disposizione detta i criteri per la formazione delle porzioni in sede di divisione ereditaria e stabilisce che le porzioni debbano comprendere, oltre ai beni immobili e mobili, anche i crediti. Se ne desume quindi che, nell’ottica del legislatore, i crediti facciano parte della comunione. L’art. 757 c.c. conferma tale assunto, poiché prevede che l’ erede cui siano stati assegnati i crediti del defunto, sia successore nei crediti dal momento dell’apertura della successione.
Inoltre, i coeredi sono vicendevolmente garanti per l’insolvenza del debitore del de cuius, manifestatasi anteriormente alla divisione e ciò presuppone necessariamente che i crediti ereditari siano inclusi nella comunione. Secondo la tesi che inquadra i crediti del defunto nell’ambito della comunione ereditaria i singoli coeredi non possono pretendere il pagamento di quella che assumono essere la loro quota senza poi imputarla alla comunione, a meno che non vi sia stata divisione ereditaria.
Secondo Cassazione S. U., infine, e richiamandosi all’ orientamento consolidato della giurisprudenza in tema di comunione, secondo cui il diritto di ciascuno investe la cosa comune nella sua interezza, sicché anche un solo comproprietario è legittimato ad agire in giudizio, anche senza consenso degli altri, per la tutela della cosa comune [16], ogni coerede può agire per ottenere la riscossione dell’intero credito, non ponendosi la necessità della partecipazione al giudizio di tutti gli eredi del creditore, restando estranei all’ambito della tutela del diritto azionato i rapporti patrimoniali interni tra coeredi, destinati ad essere definiti con la divisione. Quindi, se il singolo coerede può agire per la riscossione dell’intero credito, a maggior ragione tale legittimazione gli va riconosciuta in relazione alla riscossione della parte di credito proporzionale alla quota ereditaria, fermo restando che il pagamento effettuato dal debitore non ha effetti nei rapporti interni con gli altri coeredi e resta imputato alla comunione.
2) – la clausola di rinuncia alla divisibilità dell’obbligazione, per sé e per i propri eredi, contenuta nei contratti bancari
Anche in mancanza di pattuizione espressa, nell’ipotesi di libretti ad intestazione disgiunta, la giurisprudenza ritiene che i cointestatari dovranno considerarsi creditori solidali ex art. 1854 cc e ciascuno potrà effettuare prelevamenti parziali o totali, con effetto liberatorio della banca nei confronti degli altri cointestatari, salva l’azione di regresso di questi ultimi nei confronti di colui che ha riscosso. Nell’ipotesi in cui il deposito bancario sia intestato a più persone con facoltà di operare disgiuntamente, in ragione del principio della solidarietà attiva, la giurisprudenza ha riconosciuto al contitolare del conto il diritto di richiedere, anche dopo la morte dell’altro, l’adempimento dell’intero saldo del libretto di deposito a risparmio, con la conseguenza che l’adempimento così conseguito libera la banca neri confronti degli eredi dell’altro contraente. Una decisione della Suprema Corte di Cassazione ha avuto occasione di esprimersi con riguardo a tali tematiche, affrontando il problema di un libretto a deposito di risparmio cointestato a firma congiunta [17]. Nel caso specifico il coniuge cointestatario superstite chiedeva la liberazione della metà della somma presente nel libretto. Gli eredi dell’altro coniuge cointestatario e la banca stessa ritenevano tale pretesa in contrasto con le previsioni delle Norme Bancarie Uniformi, le quali richiedono invece il consenso di tutti i cointestatari, e dunque, nel caso in esame, di tutti gli eredi del coniuge contestatario defunto. Infatti l’ articolo 13 delle Norme Bancarie Uniformi prevede che la facoltà di atti di disposizione separati sul conto possa essere modificata o revocata solo su mandato scritto di tutti i cointestatari. Pur partendo da tali considerazioni, però, la Corte ha evidenziato come, nel caso della mancanza dell’assenso di tutti i cointestatari di un libretto di risparmio, non può certo venirsi a creare una situazione che impedisca sine die alla banca la possibilità di rimborsare le somme versate nel suddetto libretto. L’articolo 1772 del codice civile infatti statuisce che “se più sono i depositanti di una cosa ed essi non si accordano circa la restituzione, questa deve farsi secondo le modalità stabilite dall’autorità giudiziaria. La stessa norma si applica quando a un solo depositante succedono più eredi, se la cosa non è divisibile. Se più sono i depositari, il depositante ha facoltà di chiedere la restituzione a quello che tra essi detiene la cosa. Questi deve darne prima notizia agli altri “. La Suprema Corte ha concluso affermando che, in caso di deposito bancario a firma congiunta e in difetto dell’assenso di taluno dei cointestatari del libretto, il giudice, al fine di evitare la situazione di stallo, deve accertare la titolarità e l’entità del credito di ciascun contitolare ed adottare le conseguenti statuizioni in ordine al pagamento delle somme da parte della banca depositaria. In sede di divisione ereditaria, sorgono spesso contestazioni fra i coeredi. All’ uopo citiamo un caso esemplificativo.
Alla morte del de cuius, erano insorti problemi di divisione ereditari fra i due fratelli Tizio e Caio. Più in particolare, il de cuius aveva cointestato a Tizio il suo conto corrente per favorire le operazioni di prelievo e versamento, essendo anziano e con problemi di salute.
Deceduto il padre, Tizio ha sostenuto che la metà di soldi presenti sul suo conto, essendo intestati a lui, non cadevano in eredità. I due fratelli sono ricorsi in giudizio.
in questo e in consimili casi, onde evitare il ricorso in giudizio, è opportuno che i titolari, allorquando uno di loro sia il solo, reale proprietario delle somme cointestate, sottoscrivano un atto nel quale descrivano l’ operazione posta in essere e dichiarino la proprietà esclusiva in capo a uno solo dei due delle somme in questione.
Questo atto non potrà avere valore nei confronti dell’ istituto bancario presso il quale si trova il conto corrente cointestato, ma potrà essere opposto in sede di divisione ereditaria.
Inoltre, se si é in grado di dimostrare che il denaro accumulato sul conto é frutto di risparmi accantonati dal defunto, potrebbero esserci gli estremi del reato di appropriazione indebita e quindi anche risvolti penalistici.
D) L’impugnazione della divisione
– L’annullamento per violenza o dolo e le altre cause di impugnazione
– Gli effetti della sentenza di annullamento
– L’omissione di beni ereditari ed il rimedio del supplemento di divisione
– La rescissione per lesione
– Il ripristino della comunione ereditaria conseguente alla rescissione
L’ art. 761 c.c. dispone che la divisione può essere annullata quando é viziata da violenza o dolo. L’ azione si prescrive in cinque anni dal giorno in cui é cessata la violenza o il dolo è stato scoperto. Tale norma può essere agevolmente applicata alla divisione giudiziale. E’ implicitamente escluso, invece, l’ annullamento per errore. Secondo dottrina prevalente [18] il legislatore ha, in compenso, inserito il rimedio della divisione supplementare in caso di errore sui beni da dividere ( art. 762 c.c. ) e della rescissione per lesione in caso di errore sulla valutazione dei beni. L’ errore, ad ogni modo, può essere presupposto indispensabile ed entrare dunque nella struttura causale [19]. Si discute in dottrina e giurisprudenza se tale errore renda la divisione nulla ovvero annullabile. Una parte della dottrina [20] e della giurisprudenza [21] propende per l’ azione di annullabilità, rimedio riservato nel nostro Codice all’ errore tout court. Secondo l’ orientamento prevalente [22], tuttavia, la mancanza dei presupposti determina la nullità della divisione. La divisione può essere rescissa quando taluno dei condividendi provi di essere stato leso oltre il quarto ( art. 763 primo comma. L’ orientamento prevalente configura nell’ istituto non un vizio di volontà ( orientamento soggettivo ) o un vizio dell’ oggetto ( orientamento oggettivo ), bensì un difetto genetico della causa. La rescissione per lesione é applicabile ogni volta che cessi fra i coeredi la comunione dei beni ereditari, ma non si applica alla vendita, cd. a rischio e pericolo, ( art. 763 c.c. ) del diritto ereditario, trattandosi in questo caso di un contratto aleatorio [23], avente per oggetto una quota dell’ eredità. Quando viene pronunciata la rescissione si pone definitivamente nel nulla il contratto divisorio con il conseguente ripristino della situazione di comunione ereditaria; tuttavia il coerede contro il quale sia promossa azione di rescissione può impedire che si addivenga a una nuova divisione offrendo il supplemento della porzione ereditaria in denaro o in natura all’ attore e agli altri coeredi. Tale facoltà, secondo dottrina prevalente [24], non costituisce oggetto di un’ istanza al Giudice, ma oggetto di una facoltà che può essere esercitata anche al di fuori del processo. Di contro però si osserva, da un lato che la lettera dell’art. 767 cod. civ. sembrerebbe presupporre un processo ancora in corso e, dall’altro lato, che quando viene pronunciata la rescissione si pone definitivamente nel nulla il contratto divisorio con il conseguente ripristino della situazione di comunione ereditaria [25]. Questo istituto é affiancato all’analogo rimedio consistente nell’offerta di modificazione del contratto rescindibile di cui all’art. 1450 cod. civ. : l’ offerta di riconduzione del contratto ad equità costituisce oggetto di una istanza al giudice, al quale può essere addirittura rimessa la specifica indicazione delle clausola da modificare.
Roberto Campagnolo, avvocato