Autonomia e formalismo testamentario

1)   La capacità di disporre e di ricevere per testamento: limiti e criticità.

La successione ereditaria può essere legittima o testamentaria, a seconda che sia regolata dalla legge ovvero dal de cuius a mezzo testamento.

La successione testamentaria trova la propria scaturigine nell’ interesse del testatore, il quale decide in perfetta autonomia.

Possono disporre per testamento tutti coloro che non sono dichiarati incapaci per legge.

In dottrina é discusso se questa capacità vada ricondotta alla capacità di agire, ovvero alla capacità giuridica.

Una parte della dottrina [1], argomentando in base all’ art. 591 c.c., secondo il quale il testamento dell’ incapace non é nullo, ma semplicemente annullabile, propende per la capacità naturale; tuttavia oggi prevale la contraria tesi [2], poiché il testamento rientra tra i cosiddetti atti personalissimi, non delegabili, cioè, mediante rappresentanza.

Infatti la legittimazione a far valere il vizio è allargata (“chiunque vi ha interesse”) e non semplicemente attribuita al soggetto il cui interesse è leso in virtù del perfezionamento dell’atto (come accade ordinariamente per l’annullabilità, la legittimazione a far valere la quale è relativa) .

Ci si chiede inoltre in dottrina se la legge che regola la capacità sia quella vigente al momento della redazione dell’ atto o piuttosto quella vigente al momento dell’ apertura della successione, sulla base delle contrapposte tesi dei diritti quesiti ovvero del fatto compiuto

Il testamento redatto da colui il quale sia incapace al momento della redazione del testamento è annullabile. Trattasi di un’ ipotesi di annullabilità assoluta, la quale, come tale, può essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse.

Con il termine “annullabilità assoluta” si intende alludere non tanto alla possibilità per chiunque di far valere la nullità), quanto alla legittimazione processuale ad agire.

In linea generale esiste una perfetta simmetria tra capacità di succedere e capacità di ricevere per testamento.

La persona beneficiaria incapace d’agire, ad esempio, è tendenzialmente incapace a testare e alla stessa deve potersi estendere la preclusione di cui all’art. 591 n. 2 c.c. Tra le più significative eccezioni, la capacità di ricevere per testamento delle persone giuridiche. Esiste, infine, un’ incapacità relativa a ricevere per testamento: quella del tutore ( art. 596 c.c. ), del notai e dei testimoni ( art. 598 c.c. ), delle persone interposte ( art. 599 c.c. ).

2) L’eredità e il legato: i differenti effetti giuridici

Il legato tradizionalmente si contrappone all’ istituzione di erede. In quest’ ultimo caso si realizza il subentro dell’ erede in tutte le posizioni giuridiche del de cuius ; nel legato, invece, la successione opera solamente in singulas res, ossia é limitata a singoli rapporti. Tale fondamentale distinzione riverbera poi sui debiti ereditari. Il legatario, poiché non é successore pro quota, ma solo in uno o più rapporti attivi determinati, non é tenuto a pagare i debiti ereditari ( art. 756 c.c. ), ed anche nel caso in cui il pagamento gli sia stato imposto dal testatore, verso i terzi del debito risponderà sempre quest’ ultimo.

Il legato non può inoltre pagare ultra vires, ossia é tenuto all’ adempimento dell’ onere eventualmente impostogli solamente entro i limiti di quanto conseguito. L’ erede, inoltre, esprime liberamente le propria volontà di accettare l’ eredità; il legatario non ha necessità di manifestare un preventivo assenso ; egli, tuttavia, ha facoltà di rinunciare. Altro requisito é il possesso, che continua con l’ erede con effetto dall’ apertura della successione, mentre il legatario non subentra nel possesso del defunto, bensì inizia un nuovo possesso ( art. 1146 c. c. ). La successione a titolo universale, infine, non prevede limite di tempo, mentre il diritto del legatario può avere un termine iniziale ed uno finale (art. 637 – 640 c.c. ). L’ art. 588 c.c. introduce una distinzione: “ l’ indicazione di beni determinati o di un complesso di beni non esclude che la disposizione sia a titolo universale, quando risulta che il testatore ha inteso assegnare quei beni come quota del patrimonio “. Stante l’ annosa diatriba legale tra coloro i quali indicavano le quote ereditarie come formate da una frazione del patrimonio e coloro i quali, invece, ritenevano che fosse sufficiente anche l’ indicazione dei singoli beni, il nostro Codice ha finito per far prevalere la seconda ipotesi, qualificando, di fatto, la successione di erede piuttosto che l’ istituzione di legatario sulla base della disposizione ereditaria, la quale comprenda l’ universalità o una quota dei beni del testatore, anziché uno i più singoli beni.

3) La condizione testamentaria, l’onere e il termine

Gli elementi accidentali di ogni negozio sono la condizione, il termine e l’onere. Non sono elementi essenziali del negozio giuridico in generale, ed in particolare del testamento, ma una volta introdotti divengono parte integrante dello stesso ed essenziali per l’efficacia del negozio.

L’evento dedotto in condizione ad una istituzione di erede non può essere la mera volontà di un terzo, poiché si ricadrebbe nel divieto ex 631.

L’ evento futuro e incerto dedotto in condizione deve riferirsi al momento della redazione del testamento e non all’ apertura della successione.

Alla condizione testamentaria si applica:

–         il principio della retroattività degli effetti ex 1360 (per la condizione risolutiva restano invece validi solo gli atti di ordinaria amministrazione e i frutti sono dovuti solo dal prodursi della condizione);

–         L’art. 1359 circa la finzione di avveramento (si considera avverata se mancanza è imputabile al soggetto che aveva interesse contrario all’avveramento);

Nel caso di mancanza di avveramento della condizione sospensiva il chiamato non viene mai alla successione e l’eredità si devolve ai chiamati ulteriori (sostituti, eredi in accrescimento, eredi legittimi); se manca la condizione risolutiva la delazione si consolida e l’erede resta tale definitivamente.

Se la condizione diviene impossibile in tempo successivo alla stesura del testamento, essa si risolve in una condizione mancata e non più realizzabile, che non può essere equiparata, quanto agli effetti, all’impossibilità originaria.

Si ritengono illecite le condizioni che coartano la volontà del beneficiario, mentre sono lecite le condizioni che assecondano un’ attitudine o un desiderio del beneficiario: in tal senso è ritenuta lecita una disposizione condizionata all’esercizio di una determinata professione o al conseguimento di un titolo (es: ti nomino erede a condizione che ti laurei).

Si ritiene valida la clausola “ si sine liberis decesserit ” (ossia con la quale si nomini erede una persona sotto condizione risolutiva che muoia senza aver generato figli e contemporaneamente si istituiscano eredi i figli sotto la medesima condizione sospensiva) tranne nella ipotesi in cui sia utilizzata per eludere il divieto della sostituzione fedecommissaria

Il termine non può essere apposto alla istituzione di erede ( art. 637 c.c.), e ciò in base al brocardo “ semel heres semper heres “.

Tale divieto deve essere letto alla luce dell’ art. 692 c.c. sulla sostituzione fedecommissaria: l’apposizione del termine infatti determinerebbe la chiamata di più eredi in modo successivo.

E’ sancita solo la nullità del termine apposto e non della istituzione di erede.

L’onere consiste in un peso che il beneficiario di una liberalità subisce per volontà del disponente.

Si ritiene che l’onere  possa essere previsto in tutti (e solo) i negozi gratuiti e quindi testamento, donazione, comodato, mutuo gratuito e deposito, nonché nei negozi atipici a titolo gratuito.

L’onere impossibile e illecito si considera, come la condizione, non apposto. Circa l’obbligazione a cui l’onerato è tenuto, mentre per alcuni detta obbligazione deve necessariamente avere natura patrimoniale ex 1174, per altri sarebbe sufficiente prevedere una clausola penale per rendere patrimonialmente valutabile la prestazione.

Se il valore dell’onere è maggiore rispetto ai beni ricevuti, l’ onerato é obbligato solo nel limite del valore della cosa.

Onere e legato obbligatorio hanno il medesimo effetto di obbligare l’onerato ad una data attività dopo l’apertura della successione, e quindi trattasi in entrambi i casi di acquisti indiretti. Unico criterio discretivo é la volontà del testatore, se abbia voluto configurare l’obbligo come onere o come legato.

Giova rilevare come, mentre nell’onere il beneficiario è indeterminato, nel legato invece sia sempre determinato.

Legato o onere sono due strade ugualmente percorribili; ovviamente, hanno due discipline diverse.

Onere e condizione si distinguono invece per la struttura, dato che il modus è negozio autonomo mentre la condizione è elemento accessorio; sul piano degli effetti, il primo obbliga – costringe, mentre la seconda condiziona – sospende la disposizione. La condizione risolutiva inoltre opera automaticamente e con effetti retroattivi reali, mentre il modus deve essere fatto valere giudizialmente in caso di inadempimento ed ha solo una retroattività obbligatoria (come la risoluzione per inadempimento).

Circa i legittimati a richiederne l’adempimento, secondo la giurisprudenza sono tutti coloro che sono avvantaggiati dall’adempimento (qualsiasi interessato), mentre legittimati per la risoluzione sono coloro che possono agire per l’adempimento.

La risoluzione del modo non opera di diritto, ma solo a seguito della sentenza costitutiva del giudice, che non ha retroattività reale.

La risoluzione comporta la devoluzione dei bei ai chiamati ulteriori (sostituiti, coeredi in accrescimento, eredi testamentari, eredi legittimi ).

4)   Clausole ammesse e illecite: la disposizione fiduciaria.

La disposizione fiduciaria, detta anche fiducia testamentaria, è una disposizione contenuta in un testamento con la quale il de cuius dispone di cedere i propri beni ad un soggetto, con l’obbligo per questo di trasferirli successivamente ad altra persona(già indicata dal testatore, o la cui libera scelta spetta all’apparente beneficiato) ( art. 627 c.c. ).

Il legislatore prevede il divieto di adìre in giudizio per accertare l’esistenza di tale trasferimento apparente. Tale azione è ammessa solamente qualora il beneficiario sia un incapace. Se l’interposta persona decidesse di eseguire il trasferimento del bene, non potrà più richiederne la ripetizione. Questo perché l’eventuale adempimento della disposizione configura un’obbligazione naturale, un’obbligazione, cioè, che da un lato non attribuisce al destinatario della prestazione azione legale per esigerla, e dall’altro impedisce che chi ha adempiuto spontaneamente avendone la capacità (da qui l’eccezione dell’incapace) possa pretendere la restituzione di ciò che ha dato [3].

Codesta fattispecie potrebbe essere anche diversamente qualificata in termini di disposizione simulata.

5)   Le disposizioni con contenuto non patrimoniale: peculiarità

Il testamento può contenere disposizioni a titolo personale e di contenuto non patrimoniale, ad esempio per regolamentare interessi di natura familiare, quali la designazione di un tutore per il figlio minore, ovvero il riconoscimento di un figlio naturale. In particolare le disposizioni testamentarie non patrimoniali possono consistere in disposizioni che non hanno valore giuridico ma solo morale, che acquistano una particolare solennità proprio perché espresse in sede testamentaria: il testatore può per esempio esortare gli eredi a riconciliarsi, oppure può raccomandare loro di tenere un certo comportamento. Esistono inoltre disposizioni non patrimoniali aventi un valore giuridico, quali la riabilitazione di un indegno a succedere, con la quale il testatore esprime il perdono nei confronti di chi si è reso responsabile di determinate azioni di particolare gravità ai danni del testatore stesso o di suoi familiari, e la nomina del tutore, con la quale il testatore, il cui coniuge sia premorto, individua la persona che dovrà ricoprire la carica di tutore dei propri figli minori. Esistono inoltre disposizioni testamentarie di carattere non patrimoniale che hanno la caratteristica di non poter essere revocate; si tratta di dichiarazioni che non possono essere ritrattate, quali ad esempio il riconoscimento di un figlio naturale.

6) L’accrescimento, la rappresentanza, la sostituzione nel testamento.

Si ha successione per rappresentazione allorquando una persona non può o non vuole succedere e quindi subentrano nella successione i parenti del successore (discendenti legittimi o naturali) . Tale istituto ha luogo solo se il chiamato sia un figlio, un fratello o una sorella del defunto.

La ratio di tale istituto risiede nel rispetto della presunta volontà del testatore e nella tutela della famiglia legittima.

Alcuni Autori [4] individuano nella successione per rappresentazione una sorta di vocazione indiretta. La teoria preferibile, tuttavia, é quella della delazione indiretta, in quanto il contenuto dell’ eredità é determinato con riferimento al primo chiamato, mentre il rappresentante viene alla successione in via subordinata al fatto che il primo chiamato o anche solo il designato non possa o non voglia accettare.

La successione avviene per stirpi.

L’ istituto dell’ accrescimento si applica quando non si possa ricorrere alla rappresentanza, perché gli eredi sono più di uno e sono eredi in parti uguali, e quindi i beni che sarebbero spettati a chi non può o non vuole succedere vanno agli altri eredi.

Tale istituto opera di diritto senza bisogno di accettazione.

L’ accrescimento produce l’ effetto di espandere la quota degli altri contitolari qualora venga meno la titolarità di un di essi.

Fondamento dell’ accrescimento é, secondo la teoria oggettiva, la vocazione solidale: ciascun erede é chiamato per l’ intero, ma il suo diritto é compresso per il concorso degli altri contitolari; quando questo concorso cessa, il diritto si riespande. [5]

Per accrescimento si acquista di diritto. Non occorre, cioè, un’ ulteriore accettazione da parte dei coeredi a favore dei quali esso si verifica. L’ acquisto per accrescimento ha efficacia retroattiva ed é irrinunziabile.

Ai sensi dell’ art. 675 c.c. l’ accrescimento ha luogo anche fra collegatari, purché congiunti re e verbis, anche se non sempre é richiesto quest’ ultimo requisito [6] .

La sostituzione é l’ istituto giuridico che ricorre nel caso in cui il testatore, prevedendo che il chiamato non voglia o non possa accettare, istituisce un’altra persona in sostituzione del primo chiamato.

Si hanno due tipi di sostituzioni:

1) ordinaria: nel testamento sono indicate, oltre ai successori, altre persone destinate a prendere il posto del successore nel caso in cui esso non voglia o non possa accettare l’eredità. Non è però possibile nominare successore il proprio figlio o fratello, é invece consentito che essi conservino i beni ricevuti e che, alla loro morte, vi succeda il figlio.

La sostituzione può essere anche plurima o reciproca.

2) fedecommissoria: sono consentiti solo i fedecommessi disposti a favore di una persona o un ente che si occupa di un interdetto, discendente o coniuge del testatore.

La sostituzione ordinaria costituisce una vera e propria ipotesi di disposizione condizionata. Il sostituto, in attesa che si verifichi la condizione, sin dall’ apertura della successione può compiere sull’ eredità atti di conservazione, e può anche chiedere la nomina di un curatore dell’ eredità giacente ( art. 481 c.c. ).

7) L’esecutore testamentario: ruolo e limiti.

Il testatore può nominare uno o più esecutori testamentari, i quali hanno il compito di curare che siano esattamente eseguite le disposizioni di ultima volontà. L’ esecutore é l’ uomo di fiducia del testatore. L’ atto di nomina può essere incluso in un testamento ed é atto di volontà accessorio alle disposizioni testamentarie, unilaterale e solenne ( può essere contenuto solo in un testamento ), mortis causa e revocabile.

L’ accettazione dell’ esecutore deve essere depositata in cancelleria, e solo un’ istanza interlocutoria ad opera di chiamati all’ eredità può fissare un termine per la dichiarazione.

In primo luogo, l’esecutore testamentario deve curare che siano esattamente eseguite le disposizioni di ultima volontà del defunto (art. 703, primo comma, c.c.) e, a tal fine deve amministrare la massa ereditaria, prendendo possesso [7]10 dei beni che ne fanno parte (art. 703, secondo comma, c.c.). Ai sensi del quarto comma dell’ art. 703 c.c. quando sia necessario alienare i beni dell’ eredità, l’ esecutore testamentario ne chiede l’ autorizzazione all’ Autorità giudiziaria ai sensi dell’ art. 747 c.p.c., la quale provvede sentiti gli eredi. Ai sensi dell’art. 706 c.c., il testatore può disporre che l’esecutore testamentario proceda alla divisione tra gli eredi dei beni dell’eredità. Per quanto attiene al profilo della responsabilità dell’esecutore testamentario, il legislatore prevede che gli atti compiuti nell’esercizio del suo ufficio non possano mai pregiudicare il diritto dei chiamati alla successione a rinunziare all’eredità o ad accettarla col beneficio d’inventario (art. 703, quinto comma, c.c.). Al termine dell’incarico [8], quindi, l’esecutore testamentario deve necessariamente rendere il conto della propria gestione, con risarcimento del danno cagionato agli eredi o ai legatari, in caso di violazione del dovere di diligenza del buon padre di famiglia. Infine, nel caso di gravi irregolarità nell’adempimento dei suoi obblighi, l’autorità giudiziaria può esonerare l’esecutore testamentario dal suo ufficio, dietro apposita istanza di ogni interessato (art. 710, primo comma, c.c.). L’ufficio di esecutore testamentario può cessare per varie cause: esaurimento dei compiti, rinuncia all’incarico, impossibilità oggettivamente non imputabile all’esecutore, esonero disposto dal giudice ai sensi dell’art. 710 c.c. [9]. Non è invece prevista dalla legge la cessazione dell’ufficio per decorso del tempo: è stabilito, però, dall’art. 703, terzo comma, c.c. che il possesso dei beni ereditari non possa durare per più di un anno dall’accettazione, rinnovabile dal giudice per un altro anno.

8) Testamento olografo, pubblico, segreto: caratteristiche e natura.

Le forme di testamento previste dall’ordinamento italiano sono tre. La prima di queste è il cosiddetto testamento olografo, consistente in uno scritto di pugno dal testatore e da lui stesso datato e sottoscritto. Questo tipo di testamento non ha alcuna efficacia se viene scritto a macchina o a computer, anche nel caso in cui sia poi stato firmato dal testatore. E’ inoltre nullo se privo di data, se scritto a matita o con altro strumento cancellabile o che non consenta di riconoscere la calligrafia del testatore. Altra forma di testamento è il cosiddetto testamento pubblico. In tal caso il testatore detta le sue volontà ad un notaio in presenza di due testimoni. Questi provvede poi a metterle per iscritto e a rileggerle alla presenza del testatore e dei due testimoni. Il testamento deve poi recare l’indicazione del luogo e della data e deve necessariamente essere firmato dal notaio, dal testatore e dai testimoni. In tal caso si ha la nullità del testamento qualora il notaio non provveda a riportare per iscritto le volontà del testatore oppure quando manca la sottoscrizione del notaio o del testatore. Gli altri difetti di forma danno invece luogo all’annullabilità del testamento. Il testamento segreto, infine, è un atto redatto dal testatore o da altra persona su indicazione del testatore e consegnato in busta chiusa sigillata ad un notaio in presenza di due testimoni. E’ quindi detto “ segreto ” perché il suo contenuto non è noto al notaio e in alcuni casi neanche ai testimoni. Tale testamento è valido anche qualora non rechi l’indicazione della data e anche nel caso in cui sia stato scritto a macchina o a computer, purché il testatore provveda ad apporre la sua firma su ogni mezzo foglio. Sulla busta deve essere scritto il cosiddetto atto di ricevimento, mediante il quale si da atto della consegna al notaio e si dichiara che si tratta di un testamento segreto. Il testamento segreto può essere ritirato dal testatore in qualunque momento. Il formalismo testamentario, particolarmente rigoroso, serve al tempo stesso a tutelare il testatore e i suoi eredi. Tale formalismo, tuttavia, non giunge ad escludere l’ applicazione della normativa generale in tema di distruzione o smarrimento dello stesso, la quale consente di provarne il contenuto a mezzo di testimoni. Il testamento olografo presenta qualche svantaggio, stante la possibilità di smarrimento, soppressione, falsificazione, casi nei quali si applica la normativa contenuta negli artt. 2724 e 2725 c.c. Tuttavia tale norme devono essere lette in combinato disposto con l’ art. 684c.c., secondo il quale il testamento olografo che viene distrutto, lacerato o cancellato viene considerato come revocato dal testatore. La suddetta regola generale non è sempre assoluta, ma può subire delle deroghe. Infatti, il sopracitato principio non è valido se il testatore o chiunque vi abbia interesse provi che il testamento fu lacerato, distrutto o cancellato da persona diversa dal testatore oppure che il testatore non aveva l’intenzione di revocarlo. La Corte di Cassazione [10] ha avuto modo di confrontarsi con il caso in cui risultavano due copie della disposizione testamentaria in discussione, una delle quali con evidenti cancellature ed interpolazioni, le cui divergenze ostavano all’accertamento dell’autenticità dell’una o dell’altra per prova testimoniale. Secondo la decisione della Suprema Corte: “ Potendo, infatti, il testamento olografo, come si desume dall’art. 684 c.c., essere revocato dal testatore anche mediante distruzione, lacerazione o cancellazione, il solo fatto del suo mancato rinvenimento, ossia della sua irreperibilità in originale, basta a legittimare la presunzione, posta dalla richiamata norma, che il de cuius lo abbia revocato distruggendolo deliberatamente, con la conseguenza che, per vincere tale presunzione, occorre provare o che la scheda testamentaria, ovviamente quella originale, esistesse ancora al momento dell’apertura della successione e che, quindi, la sua irreperibilità non possa farsi risalire in alcun modo al testatore, oppure che quest’ ultimo, benché supposto autore materiale della distruzione, non fosse stato animato da volontà di revoca ” [11]. Il testamento olografo deve essere scritto interamente a mano dal testatore, e deve essere datato ( la data deve risultare dal testamento e non aliunde ) e sottoscritto con firma autografa. Si cita a questo proposito una recente decisione del Giudice di merito: “ In tema di nullità del testamento olografo la finalità del requisito della sottoscrizione, previsto dall’art. 602 c.c. distintamente dall’autografia delle disposizioni in esso contenute, ha la finalità di soddisfare l’imprescindibile esigenza di avere l’assoluta certezza non solo della loro riferibilità al testatore, già assicurata dall’olografia, ma anche dell’inequivocabile paternità e responsabilità del medesimo che, dopo avere redatto il testamento – anche in tempi diversi – abbia disposto del suo patrimonio senza alcun ripensamento. In ogni caso, quando sia accertata la non autenticità della sottoscrizione apposta al testamento, non può trovare applicazione l’art. 590 c.c. che, nel consentirne la conferma o l’esecuzione da parte degli eredi, presuppone l’oggettiva esistenza di una disposizione testamentaria che, pur essendo affetta da nullità, sia comunque frutto della volontà del de cuius [12]. “

 Il testamento pubblico é ricevuto dal notaio in presenza di testimoni ( art. 603 1 comma ). Questo testamento offre il particolare vantaggio di fornire un rigoroso rispetto della volontà del testatore e una guida tecnica alla sua redazione. Dal punto di vista della sua natura giuridica esso é un atto pubblico, e quindi fa pena prova sino a querela di falso della provenienza dal pubblico ufficiale che lo ha formato, nonché di quanto é stato detto o fatto in sua presenza. La Suprema Corte si é pronunciata circa la validità del testamento pubblico anche se privo della firma del de cuius [13]. Proprio per tale motivo, il testamento era stato impugnato, al fine di accertarne la nullità per incapacità naturale del testatore al momento della redazione dell’atto. Pronunciandosi sulla questione, la Corte di Cassazione ha confermato la decisione in corte d’ Appello, secondo la quale la mancanza della sottoscrizione dell’atto da parte del testatore era stata giustificata del notaio rogante, che ne aveva dato contezza nella successiva attestazione delle dichiarazioni rese dal testatore circa il proprio stato di spossatezza e sfinimento, elementi sufficienti a dimostrare che la mancata apposizione della firma non dipendevano da volontà di invalidare l’atto né da incapacità di intendere e di volere. Il testamento segreto, infine, é una formula scarsamente utilizzata nella pratica. Esso cumula i vantaggi del testamento olografo con quello pubblico, perché il testatore può tener celato il contenuto delle proprie disposizioni di ultima volontà, purché la data apposta in presenza del notaio sia certa , optando per una forma meno rigorosa di quella del testamento pubblico. Il testamento segreto non richiede l’ autografia: può infatti essere scritto dal testatore o da un terzo. Il documento verrà sigillato alla presenza di due testimoni.

9)   Ammissibilità della clausola arbitrale nel testamento

Controversa in dottrina é la questione circa l’ ammissibilità della clausola testamentaria. Parte minoritaria propende per la soluzione negativa, sostenendo le seguenti argomentazioni: il dettato ex art. 587; comma 2, c.c.; la necessaria identità fra coloro che stipulano la clausola compromissoria e coloro che colora fra i quali insorgeranno le controversie; l’impossibilità che l’arbitrato tragga fonte da un atto unilaterale. Tali tesi possono essere agevolmente confutate, e segnatamente: la norma di cui l’ art. 587 c.c. non contiene alcun limite alla facoltà del de cuius di inserire nel testamento disposizioni a carattere non patrimoniale, ma anzi ne riconosce l’ efficacia .

Sotto un diverso profilo, si sostiene l’invalidità del vincolo testamentario di arbitrato a causa del suo contrasto con il principio di “assoluta identità fra coloro che stipulano la clausola compromissoria e coloro fra i quali insorgeranno le controversie“. In realtà il nostro sistema prevede, all’opposto, il principio della trasmissibilità del rapporto compromissorio.

Un altro orientamento deduce la nullità del negozio in esame dall’impossibilità che l’arbitrato tragga fonte da un atto unilaterale, ma in realtà non sussiste alcun ostacolo ad un arbitrato imposto con atto di ultima volontà, in assenza di una specifica regola impeditiva (cfr., ad es., art. 2821 cpv. c.c.). L’inammissibilità di un arbitrato previsto per testamento non può, d’altra parte, essere dedotta dall’impossibilità di assicurare il rispetto dei vincoli di forma di cui all’art. 807, commi 1° e 2°, c.p.c La legge, infatti, esclude la necessità della forma per l’acquisto da parte dell’erede o del legatario. Il testatore potrà prevedere, con la clausola arbitrale testamentaria, sia un arbitrato rituale che irrituale, ma é preferibile ritenere che egli non possa procedere alla nomina degli arbitri nel testamento stesso. Pertanto la clausola arbitrale non costituisce una disposizione che: “diminuisca, vel in quantitate vel in tempore, i diritti riservati ai legittimari, o comunque modifichi la loro posizione giuridica rispetto ai beni appartenenti alla riserva” .

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