Validità di una fotocopia di testamento olografo

Un caso del nostro Studio Legale

Con atto di citazione l’attore chiedeva dichiararsi la nullità del testamento olografo del defunto fratello e, per l’effetto, dichiarare aperta la successione ab intestato,  riferendo di essere presunto erede ab intestato del defunto fratello insieme alla sorella.

L’attore rilevava che il fratello aveva presuntivamente depositato un testamento olografo presso il Notaio, ma che, al momento della pubblicazione, il Notaio si avvedeva dello smarrimento del suddetto testamento, dando atto nel verbale di pubblicazione che “esso è andato inopinatamente smarrito” e quindi procedeva alla pubblicazione di due codicilli rinvenuti nei depositi fiduciari del Notaio e di una “copia verosimilmente riprodotta in via fotografica” del supposto testamento consegnata dalla convenuta al Notaio al momento della pubblicazione.

L’attore rilevava che la firma asseritamente apposta dal testatore sul margine destro delle quattro facciate del testamento pubblicato in copia era ictu oculi diversa da quella presente nei codicilli che risultavano parimenti sottoscritti dal de cuius.

L’attore riferiva, pertanto, che non esisteva alcun originale del presunto testamento olografo e che, in conseguenza, non esisteva alcun testamento olografo; affermava, quindi, che il documento pubblicato dal Notaio era privo dei requisiti previsti dall’art. 602 c.c. e dunque nullo ai sensi dell’art. 606 c.c.;  rilevava, inoltre, che l’esistenza di una fotocopia poteva essere prova della distruzione o revoca “implicita” del testamento da parte del testatore ai sensi dell’art. 684 c.c.

Il Tribunale ha dedotto che:

  • Il documento pubblicato dal Notaio, alla luce delle sue caratteristiche, sia assimilabile all’originale;
  • La scomparsa dell’originale del testamento olografo non è riconducibile alla distruzione o alla revoca all’opera del de cujus, bensì allo smarrimento fortuito da parte del Notaio;
  • È stata superata la presunzione di revoca in considerazione della provata volontà del de cujus (stante le dichiarazioni rilasciate dal Notaio e dalle impiegate dello stesso) a mantenere l’efficacia del testamento;
  • La copia fotostatica del testamento recante su ogni pagina la dicitura “conforme all’originale” non è stata oggetto di formale disconoscimento da parte dell’attore nei modi e nei termini previsti dal codice, come invece si sarebbe dovuto fare;
  • La produzione successiva alla scadenza dei termini di cui all’art. 183 VI co c.p.c di un presunto testamento olografo successivo a quello di cui oggetto di causa è da ritenersi inammissibile in quanto tardiva.

PARERE LEGALE

In caso di rinvenimento di una fotocopia del testamento, la natura giuridica della fotocopia è diversa da quella del testamento riprodotto: quest’ultimo è un documento olografo e sottoscritto, invece la fotocopia è un’immagine fotografica, comprovante l’esistenza ed il contenuto del documento originale al momento della sua riproduzione.

Più precisamente, poiché la scheda testamentaria è a sua volta una prova del negozio contenuto, la fotocopia è un mezzo di prova di secondo grado, trattandosi di “documento di documento”.

Essendo una mera prova, di secondo grado, la fotocopia non può produrre gli effetti sostanziali del testamento, in particolare l’apertura della successione testamentaria: il legislatore ha, infatti, subordinato l’apertura della successione testamentaria alla sussistenza di un negozio del de cujus, fornito di precisi requisiti di sostanza e di forma, tesi a tutelare la certezza dei rapporti, che certo non ricorrono nella fotocopia.

Solo l’autorità giudiziaria può accertare se il documento sia effettivamente la copia di un testamento autentico o non piuttosto un falso.

Qualora il giudice statuisca che la fotocopia è autentica, l’apertura della successione testamentaria sarà determinata non già dalla fotocopia bensì dalla scheda originale, la cui esistenza è accertata da una sentenza passata in giudicato, la quale “aequat quadrata rotundis”.

La prima questione posta della fotocopia del testamento irreperibile è se essa possa essere pubblicata.

E’ di chiara evidenza che la pubblicazione del testamento olografo – disciplinata dagli artt. 620 e seguenti c.c. – è strettamente collegata al procedimento teso a garantire la conservazione e la pubblicità della scheda mediante la sua allegazione ad un verbale notarile; esso non incide sulla validità o sull’efficacia del testamento, ma solo sulla sua eseguibilità.

Infatti, ai sensi dell’art. 620, comma 5, c.c. il testamento ha esecuzione solo in seguito alla pubblicazione da parte del Notaio.

Il dubbio se possa essere pubblicata la fotocopia, può essere superato considerando che, ai sensi dell’art. 620 c.c., possono essere pubblicati unicamente quei documenti che siano riconducibili alla nozione di testamento, indipendentemente dai vizi che lo affliggono; al contrario, non possono essere pubblicati tutti quei documenti privi delle caratteristiche del negozio mortis causa e che costituiscono mere prove della sua esistenza.

Benché il notaio non possa e non debba effettuare alcuna indagine sulla veridicità o sulla validità del documento a lui esibito, tuttavia egli deve accertare che il documento sia riconducibile alla nozione di testamento e sia pertanto suscettibile di pubblicazione.

Questo poiché il notaio può attribuire pubblica fede alle dichiarazioni negoziali delle parti ma non assumere mezzi di prova a futura memoria, invadendo le prerogative del giudice.

E’ noto, infatti, che ai sensi dell’art. 28 Legge Notarile, il notaio non può ricevere atti che siano contrari ad ordine pubblico; nell’ambito di tale divieto viene ricompreso – in base ad un consolidato orientamento giurisprudenziale – l’esercizio di attività di accertamento di fatti ed atti giuridici, riservati istituzionalmente al Tribunale.

Chi produce al notaio la fotocopia del testamento per la sua pubblicazione, in realtà intende precostituire un mezzo di prova, teso a dimostrare l’esistenza del testamento, da far valere nei confronti degli eredi legittimi, in vista del procedimento volto alla ricostruzione della volontà del documento originario.

Ecco perché la pubblicazione della fotocopia di un testamento olografo costituisce un atto vietato dalla legge, ai sensi dell’art. 28 L.N., sotto un duplice profilo: da un lato, viola l’art. 620 c.c., nella parte in cui richiede che al verbale di pubblicazione sia allegata la carta su cui è redatto il testamento; dall’altro, esso potrebbe astrattamente tendere ad una precostituzione di mezzi di prova, prevaricando i poteri dell’autorità giudiziaria.

Pertanto la pubblicazione della fotocopia non può determinare l’eseguibilità del testamento, essendo invece necessaria una sentenza passata in giudicato che accerti che tale fotocopia sia assimilabile all’originale.

Al fine di stabilire se possa essere oggetto di conferma la fotocopia di un testamento, occorre considerare che la conferma è finalizzata a tutelare la volontà del de cujus, non gli interessi degli eredi: essa presuppone l’esistenza di un testamento, seppur viziato, e non può sanare quei vizi che rendono dubbia la rispondenza del documento a quella volontà del de cujus che l’istituto intende tutelare; ad esempio, non possono essere confermate le disposizioni revocate o quelle di cui è dubbia l’autenticità.

La mancanza del documento originale, il cui contenuto è attestato dalla fotocopia, non costituisce una causa di invalidità del testamento che possa essere sanata dai chiamati, bensì implica l’incertezza sull’autenticità della copia.

Ecco perché non è ammissibile la conferma del testamento riprodotto in fotocopia: la dichiarazione delle parti che la fotocopia è fedele riproduzione di un testo irreperibile non è tesa a sanare un vizio del negozio e pertanto non può essere ricondotta alla fattispecie disciplinata dall’art. 590 c.c.

In proposito, si osserva ulteriormente che la fotocopia potrebbe essere il risultato di un fotomontaggio. Pertanto, il Giudice è tenuto ad eseguire una duplice valutazione: (i) se la presunzione della revoca si intende superata alla luce delle prove fornite dalle parti nell’ambito del giudizio; (ii) una volta superata tale presunzione, se il contenuto della fotocopia coincide di pari passo all’originale andato disperso.

Pertanto, dato che la fotocopia riproduce un testamento di cui sono incerte l’autenticità e la sorte, essa non può essere oggetto di conferma da parte dei chiamati all’eredità; la valutazione sulla corrispondenza del documento alla effettiva volontà del de cujus implica questioni attinenti a diritti indisponibili dai chiamati, che possono essere decise solo dall’autorità giudiziaria.

Nel caso in esame, il Giudice di prime cure – nel respingere le domande attoree – è incorso nella violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c.

Pur vero che:

La Corte di Cassazione ha ripetutamente affermato che è riservata esclusivamente all’organo giudicante l’individuazione delle fonti del proprio convincimento, la valutazione delle prove, il controllo della loro attendibilità e concludenza, la scelta fra le risultanze istruttorie di quelle ritenute idonee ad acclarare i fatti oggetto della controversia, potendo egli privilegiare, in via logica, alcuni mezzi di prova e disattenderne altri, in ragione del loro diverso spessore probatorio, con l’unico limite della adeguata e congrua motivazione del criterio adottato.

E’ stato altresì specificato che anche la valutazione delle risultanze della prova testimoniale e il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla loro credibilità involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale, nel porre a fondamento della decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra alcun limite se non quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare ogni deduzione difensiva (Cass. 1554/2004; 12912/2004; 16034/2002).

Tuttavia:

La Suprema Corte di Cassazione ha statuito che “il convincimento del Giudice di merito deve necessariamente realizzarsi attraverso l’apprezzamento di tutti gli elementi probatori acquisiti, considerati nel loro complesso; e che la relativa valutazione non può limitarsi all’esame isolato dei singoli elementi ma deve essere globale nel quadro di una indagine unitaria ed organica che, ove immune da vizi di motivazione, diviene incensurabile in sede di legittimità. Per cui, se è vero che al giudice di merito è attribuito un ampio potere discrezionale al riguardo nel senso che è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove o risultanze di prove che ritenga più attendibili ed idonee alla formazione dello stesso, non gli è invece consentito di fondarlo sull’esame isolato di singoli elementi istruttori, nonché di ritenere ciascuno insufficiente a fornire ragionevole certezza su una determinata situazione di fatto: dovendo il relativo giudizio derivare da una organica e complessiva valutazione di essi nel quadro unitario dell’indagine probatoria (Cass. 10650/2008; 4373/2003; 9504/1987; 6460/1982)” – Cass. n. 6697/2009).

Proprio nella violazione di detto principio, ricavato dall’art. 116 c.p.c., è incorsa la sentenza oggi impugnata che, i) indicando le prove sulle quali si è basato il proprio convincimento (l’interrogatorio formale del Notaio e le testimonianze delle impiegate), ii) ha tuttavia frazionato l’esame delle risultanze istruttorie acquisite, iii) escludendo senza alcuna motivazione le istanze di parte attrice.

Infatti, la decisione del Giudice non può fondarsi sulle dichiarazioni rese dal Notaio in sede di interrogatorio formale, considerato che tali dichiarazioni contengono l’affermazione di verità di fatti favorevoli al dichiarante stesso, soprattutto laddove:

  • Il Notaio ha provveduto a pubblicare la fotocopia del presunto testamento, incorrendo nella palese violazione dei dettami della legge notarile, al solo fine di precostruirsi delle prove in vista del giudizio;
  • Nei confronti del Notaio è stata formulata – all’interno del medesimo giudizio – richiesta di risarcimento danni a seguito dell’accertamento della sua responsabilità professionale; pertanto, un’eventuale dichiarazione contraria da parte del notaio avrebbe verosimilmente portato alla sua condanna conseguente alla perdita della scheda testamentaria, avvenuta peraltro in circostanze mai chiarite all’interno del giudizio.
  •  Appare alquanto inverosimile che il Notaio si ricordi – a distanza di anni – del contenuto preciso del testamento originale, trattasi nella fattispecie di un documento alquanto articolato e complesso. Nel contempo, il notaio non ricorda con esattezza le circostanze in cui sia avvenuto lo smarrimento dell’originale.
    Non solo. Si rileva l’assoluta inattendibilità della testimonianza resa dalle dipendenti dello studio notarile trattasi di:
    testimonianza de relato, poiché soggetti che avevano solo una conoscenza indiretta di un fatto controverso. Difatti, le impiegate non avevano una conoscenza diretta del contenuto dell’originale della scheda testamentaria e ricordano semplicemente di aver sentito il notaio formulando “dei ragionamenti ad alta voce”.

Più in particolare, nel richiamare il principio di diritto precedentemente affermato (Cass. Sez. 1, Sent n. 8358 del 2007, e succ. conff.), la Suprema Corte ha precisato che, per valutare l’attendibilità dei contenuti della deposizione di un teste de relato “occorre distinguere i testimoni de relato actoris e quelli de relato in genere: i primi depongono su fatti e circostanze di cui sono stati informati dal soggetto medesimo che ha proposto il giudizio, così che la rilevanza del loro assunto è sostanzialmente nulla, in quanto vertente sul fatto della dichiarazione di una parte del giudizio e non sul fatto oggetto dell’accertamento, che costituisce il fondamento storico della pretesa” (Cass., sez. VI, 17 febbraio 2016, n. 3137).

Pertanto, non risulta raggiunta la piena prova in merito all’inequivocità di corrispondenza tra il contenuto della fotocopia e l’originale del testamento olografo divenuto irreperibile.

2) Elementi di criticità emersi nella difesa espletata nel corso del giudizio di primo grado

Il Giudice di prime cure ha ulteriormente statuito che, essendo stata superata la presunzione di revoca del testamento a mano del testatore, assume rilevanza il mancato disconoscimento della conformità all’originale della copia informale dell’olografo.

L’articolo 2719 c.c. (rubricato “Copie fotografiche di scritture”) si limita a prevedere che “Le copie fotografiche di scritture hanno la stessa efficacia delle autentiche, se la loro conformità con l’originale è attestata da pubblico ufficiale competente ovvero non è espressamente disconosciuta”. Letteralmente, pertanto, l’onere che grava sulla parte è solo quello di un disconoscimento “espresso”, perciò non implicito ne’ equivoco.

La giurisprudenza della Corte di Cassazione ha costantemente (e copiosamente) ribadito l’indirizzo in base al quale il disconoscimento formale deve avvenire, a pena di inefficacia, “attraverso una dichiarazione che evidenzi in modo chiaro ed univoco sia il documento che si intende contestare, sia gli aspetti differenziali di quello prodotto rispetto all’originale” (tra le piu’ recenti, Cass. n. 3227 del 2021; conf. Cass. nn. 25404, 24730, 22577, 20770, 19552 del 2020; 16557, 3540 del 2019; 27633 del 2018; 29993, 23902 del 2017).

Nel caso in esame la parte attrice non ha evidenziato alcuna differenza fra gli originali dei documenti e le copie prodotte da controparte, né ha indicato peculiarità di queste ultime (ad es. cancellature, scoloriture ecc.) che potessero far dubitare della loro conformità ai primi.

Inoltre, per ormai costante giurisprudenza, l’art. 2719 cod. civ., che esige l’espresso disconoscimento della conformità con l’originale delle copie fotografiche o fotostatiche, è applicabile tanto alla ipotesi di disconoscimento della conformità della copia al suo originale, quanto a quella di disconoscimento della autenticità di scrittura o di sottoscrizione, e, nel silenzio normativo sui modi e termini in cui deve procedersi, entrambe le ipotesi sono disciplinate dagli artt. 214 e 215 cod. proc. civ., con la conseguenza che la copia fotostatica non autenticata si ha per riconosciuta, tanto nella sua conformità all’originale quanto nella scrittura e sottoscrizione, se non venga disconosciuta in modo formale e inequivoco alla prima udienza, o nella prima risposta successiva alla sua produzione (Cass. n. 2374 del 2014).

In conclusione, si rendeva alquanto necessario il disconoscimento formale e tempestivo della copia fotografica del testamento olografo, in quanto la mancanza di tale attività processuale assume estrema rilevanza una volta superata la presunzione di revoca del testamento.