Istituto del Trust nelle successioni
Trust Successione
Un istituto di estrema attualità che sta assumendo una notevole importanza nella trasmissione della ricchezza patrimoniale, anche nell’ambito della famiglia.
Introduzione
Il trust è un’operazione legale in cui una persona, chiamata “settlor,” separa alcuni dei suoi beni dal suo patrimonio personale per perseguire interessi specifici. Questi beni vengono posti sotto il controllo e la gestione di un’altra persona o di una società professionale, chiamata “trustee.” Il trustee può essere una persona o una società specializzata nella gestione dei trust.
In sostanza, il trust nella successione è utile quando si vuole realizzare un determinato scopo utilizzando determinati beni, affidandoli a qualcuno diverso dal proprietario originale di quei beni.
Questo processo ha due effetti principali: in primo luogo, i beni vengono rimossi dal patrimonio del settlor, e in secondo luogo, vengono separati all’interno del patrimonio del trustee, diventando di fatto di sua proprietà.
TRUST E SUCCESSIONE
Il trust è un istituto di matrice anglosassone mediante il quale un soggetto utilizza uno o più beni (i quali possono essere indistintamente immobili, mobili registrati, mobili non registrati e crediti) per addivenire alla costituzione di un patrimonio separato, finalizzato ad uno o più scopi specifici.
Esso ha trovato ingresso nel nostro ordinamento per mezzo della legge 9 ottobre 1989, n. 364, entrata in vigore il 1° gennaio 1992, la quale ha recepito la Convenzione dell’Aja del 1985, divenendo, in tal modo, a tutti gli effetti un istituto riconosciuto nel nostro Paese ma non direttamente regolamentato dalla legge italiana.
È infatti la stessa Convenzione che, all’articolo 2, si preoccupa di fornire una definizione dell’istituto in esame, prevedendo che “per trust si intendono i rapporti giuridici istituiti da una persona, il disponente, con atto tra vivi o mortis causa, qualora alcuni beni siano stati posti sotto il controllo di un trustee nell’interesse di un beneficiario o per un fine determinato”.
Sostanzialmente il trust può essere utile ogni volta in cui un certo scopo, da realizzarsi mediante determinati beni, sia raggiungibile mediante l’affidamento dei predetti beni a un soggetto diverso da colui che matura il desiderio di realizzare quello scopo.L’effetto del trust è duplice: da un lato provoca la fuoriuscita di determinati beni dal patrimonio del disponente e dall’altro comporta la segregazione o separazione di tali beni nell’ambito del patrimonio del trustee, all’interno del quale i beni stessi vengono trasferiti mediante un vero e proprio passaggio di proprietà.
I beni impegnati risultano quindi sottoposti sia ad un vincolo di destinazione (ovvero riservati alla realizzazione di uno specifico scopo o ad un determinato soggetto) che ad un vincolo di separazione (cioè sono giuridicamente separati sia dal patrimonio residuo del disponente sia da quello del trustee). Sempre l’articolo 2, infatti, stabilisce, nel delineare i caratteri principali dell’istituto,
a) che i beni del trust costituiscono una massa distinta e non fanno parte del patrimonio del trustee;
b) che il trustee ha il potere-dovere di amministrare o disporre dei beni secondo quanto previsto dall’atto costitutivo o dalla legge;
c) che non è incompatibile con l’esistenza del trust il fatto che il costituente si riservi alcune prerogative o che al trustee siano riconosciuti alcuni diritti come beneficiario”.
Quanto detto significa che, dal momento che i beni del trust formano un patrimonio separato, essi non potranno in nessun caso essere aggrediti dai creditori di nessuno dei soggetti coinvolti, anche nel caso in cui siano intestati ad un altro soggetto, non appartenendo, di fatto, né al trustee, né al settlor. Proprio questo punto è stato uno di quelli che maggiormente hanno complicato l’accettazione dell’istituto in esame nel nostro paese. Il trustee, infatti, è l’unico titolare dei diritti relativi ai beni interessati che il settlor ha deciso di vincolare, seppure nell’interesse dei beneficiari o per il perseguimento dello scopo definito, ma questi restano all’interno del patrimonio del trust e diventano estranei sia al patrimonio del disponente che a quello personale del trustee.
Quanto detto si scontra però con il fatto che in Italia, secondo l’opinione maggioritaria della dottrina e della giurisprudenza, la proprietà non possa in alcun caso essere sdoppiata, con il risultato che, inizialmente, diversi studiosi di notevole pregio hanno ritenuto che l’istituto in esame fosse in contrasto con i principi fondanti del nostro sistema di diritto, tentando di farlo rientrare in alcune categorie già esistenti e riconosciute nel nostro ordinamento. Sul punto, però, occorre sottolineare che, rispetto ai due istituti “nostrani” maggiormente somiglianti, ovvero il negozio fiduciario e il contratto in favore di terzi, sussistono alcune fondamentali differenze che fanno del trust uno strumento assolutamente a sé stante.
Circa il negozio fiduciario, infatti, il trustee, nello svolgimento della propria funzione, sarà obbligato solo ed esclusivamente verso il beneficiario del truste mai nei confronti del settlor, il che costituisce la maggior differenza rispetto all’istituto appena citato.
Quanto al contratto a favore di terzi, invece, la differenza fondamentale è costituita dal fatto che il beneficiario non dovrà dichiarare di voler beneficiare del trust istituito in suo favore, essendo esso istituibile direttamente mediante l’atto unilaterale del disponente.
Ciò premesso circa l’istituto del trust, occorre soffermarsi sulle caratteristiche di settlor e trustee. In particolare, se la persona del settlor potrà essere impersonata da chiunque conferisca determinati suoi beni in un trust, con riguardo alla figura del trustee occorre segnalare che, per espressa determinazione dell’articolo 11, potrà rivestire tale ruolo soltanto chi abbia determinate caratteristiche; il trustee, infatti, dovrà essere “dotato della capacità di agire e di essere convenuto in giudizio, oltre che di comparire, in qualità di trustee, davanti a notai o altre persone che rappresentino un’autorità pubblica”.
Stante quanto detto, occorre però precisare che, benché i trust presentino caratteristiche comuni, i singoli trust potranno essere enormemente differenziati l’uno dall’altro. Questo del resto non stupisce, dal momento che il trust costituisce uno dei mezzi che maggiormente tutelano e garantiscono l’autonomia privata.
Innanzitutto, la principale differenza risiede nel fatto che non sempre – e comunque non necessariamente – l’istituto del trust richiede la compresenza di trustee, settlor e beneficiario. Infatti, nei cosiddetti trust di destinazione, i beni sono destinati a uno scopo specifico e vengono vincolati alla realizzazione di tale obiettivo, il che implica la totale assenza di un qualsivoglia beneficiario.
Inoltre, quand’anche vi sia un beneficiario, questo potrà essere sia determinato che indeterminato (in tale secondo caso la determinazione potrà essere compiuta successivamente dal settlor), oltre che immediato, mediato o finale, a seconda del momento in cui trarrà utilità dai beni costituenti il trust, godendone i frutti.
In altre fattispecie, poi, può verificarsi anche che il soggetto interessato dal trust sia uno solo, non essendoci alcuna limitazione nel far coincidere le figure del trustee e del settlor. Quest’ultimo, infatti, ben potrebbe decidere di vincolare alcuni suoi beni ad uno specifico scopo e nominarsi trustee con riferimento a quel determinato trust. Al contrario, invece, è possibile che ai soggetti coinvolti se ne aggiunga un quarto, il quale prende il nome di protector e svolge funzioni di controllo e supplenza del trustee. Quanto, infine, alla durata del trust, questa è determinata dal settlor, il quale non può revocare il trust, salvo il caso in cui sia stato stabilito dall’atto costitutivo; inoltre, tendenzialmente, tale istituto non può essere perpetuo, a meno che lo specifico ordinamento interessato non lo preveda espressamente. Il trust, infatti, come stabilito dall’articolo 6, non è regolato da un’unica legge.
Questo significa, dunque, che la legge applicabile dovrà essere scelta volontariamente dal disponente nell’ambito delle giurisdizioni che ammettano e disciplinino in modo specifico il trust, con la precisazione, fornita all’articolo 7, secondo la quale “qualora non sia stata scelta alcuna legge, il trust sarà regolato dalla legge con la quale ha collegamenti più stretti”.
Occorre specificare, inoltre, che è consentito prevedere che alcuni aspetti del trust siano disciplinati dalle leggi di due paesi differenti e che non sussiste alcun problema né per il riconoscimento in Italia di un trust istituito all’estero, né per la costituzione in Italia di un trust per beni situati all’estero. Allo stesso modo non c’è alcun limite per i cittadini stranieri circa la costituzione in Italia un trust su beni situati nel nostro paese. Questione che ha fatto molto discutere riguarda, invece, la possibilità di istituire dei trust in Italia da parte di cittadini italiani per beni situati in Italia. Infatti, non essendo stata seguita la ratifica della Convezione dell’Aja da una legge di applicazione, l’Italia, che pur si è impegnata a riconoscere i trust che presentano elementi di collegamento con il diritto di altri Stati che riconoscono l’istituto del trust, non ha affrontato la questione afferente il piano del diritto interno, con il risultato che il trust interno è stato riconosciuto come ammissibile esclusivamente in tempi recenti e mediante un largo uso dell’intervento giurisprudenziale.
In ogni caso, la legge prescelta o selezionata secondo i criteri indicati dall’articolo 7, disciplina “la validità, l’interpretazione, gli effetti e l’amministrazione del trust”, con particolare riferimento a:
a) la nomina, le dimissioni e la revoca dei trustee, la capacità di esercitare l’ufficio di trustee e la trasmissione delle funzioni di trustee;
b) i diritti e obblighi dei trustee tra di loro;
c) il diritto del trustee di delegare in tutto o in parte l’adempimento dei suoi obblighi o l’esercizio dei suoi poteri;
d) il potere del trustee di amministrare e di disporre dei beni in trust, di darli in garanzia e di acquisire nuovi beni;
e) il potere del trustee di effettuare investimenti;
f) i limiti relativi alla durata del trust e ai poteri di accantonare il reddito del trust;
g) i rapporti tra trustee e beneficiari, compresa la responsabilità personale del trustee nei confronti di questi ultimi;
h) la modifica o la cessazione del trust;
i) la distribuzione dei beni in trust;
j) l’obbligo del trustee di rendere conto della sua gestione”.
Occorre precisare, poi, che la Convenzione, all’articolo 15, procede all’elencazione, per quanto non esaustiva, di una serie di materie delle cui norme inderogabili fa salva l’applicazione, prevedendo che, in caso di contrasto del singolo trust con tali norme o con i principi di ordine pubblico, il Giudice dovrà cercare di attuare gli scopi del trust in altro modo.
Quanto alla situazione attuale, bisogna riconoscere che, grazie alla sua duttilità, il trust è riuscito a ritagliarsi uno spazio sempre maggiore anche nel panorama italiano. Ad esempio, infatti, esso risulta molto utile nell’ambito del diritto di famiglia, in particolar modo nel corso dei procedimenti di separazione o divorzio, come efficace strumento per la gestione dei beni comuni destinati alla famiglia. Di fatto, per la famiglia tradizionale il trust sopperisce ai limiti dell’istituto del fondo patrimoniale, in quanto offre un effetto segregativo di portata generale e di durata nel tempo, a prescindere dalla permanenza del vincolo del matrimonio.
Allo stesso modo, il trust può rivelarsi molto utile nell’ambito della gestione di beni mobiliari o immobiliari, così come nell’ambito societario, dando vita ad una serie di veri e propri patrimoni autonomi, separati da quelli del settlor e del trustee e dunque non aggredibili dai rispettivi creditori, da utilizzare per scopi predeterminati. Inoltre, il trust può rispondere anche ad esigenze successorie. Ben può accadere, infatti, che un soggetto decida di ricorrervi per tutelare un determinato patrimonio nel passaggio generazionale oppure per tutelarlo dal rischio dello sperpero ad opera di soggetti incapaci di amministrarlo.
Sul punto occorre precisare che tale istituto non pone alcun problema di contrasto con il divieto dei patti successori; infatti, se il patto successorio si concreta in un contratto tra il futuro de cuius e l’erede o il futuro erede e un beneficiario, nel trust è completamente assente tale elemento dell’accordo tra settlor e beneficiario.In conclusione si può affermare che il trust è diventato un istituto essenziale e largamente utilizzato, il cui successo è legato sostanzialmente alla sua natura di strumento che consente di tutelare una serie di interessi che le nostre categorie giuridiche, ormai affette da un profondo invecchiamento, non sarebbero in grado di proteggere.
Inoltre, circa le posizioni di quella ristretta minoranza che ancora oggi si ostina a negare l’ammissibilità del trust, sono stati, in diverse occasioni, la giurisprudenza e lo stesso Legislatore a intervenire sull’argomento. Infatti, in risposta a chi, in tema di pubblicità, sosteneva che mancasse una norma in base alla quale si sarebbe potuta effettuare la trascrizione e che il nostro sistema immobiliare non riconoscesse la trascrizione di una doppia titolarità, la giurisprudenza ha stabilito che la trascrizione del trust può avvenire per il tramite dell’articolo 2645 c.c..
Inoltre, il Tribunale di Trieste, con decreto emesso già in data 25 settembre 2005, si era pronunciato a favore dell’ammissibilità del trust nel nostro ordinamento, sulla scia di altre pronunzie giudiziarie di merito succedutesi in materia, quasi tutte favorevoli all’applicazione del negozio anglosassone (ex multis Trib. Bologna, sent. 1° ottobre 2003). In ogni caso, il problema della trascrivibilità del trust è stato definitivamente superato mediante l’introduzione – ormai avvenuta oltre 10 anni fa – dell’articolo 2645 ter c.c., il quale prevede la trascrizione degli atti di destinazione che non superino i 90 anni. La rilevanza di tale norma è duplice, perché non solo ha sanato non solo ogni dubbio sulla possibilità di trascrivere il trust, ma, di gran lunga più importante, ha sancito indirettamente la legittimità di tale istituto.
Occorre precisare, però, che il vastissimo uso che del trust viene fatto in Italia ha imposto ulteriori interventi giurisprudenziali per arginare l’utilizzo elusivo di tale strumento rispetto alle leggi nazionali.
Per questo motivo, tanto il Tribunale di Bologna quanto quello di Trieste, entrambi con sentenze del gennaio 2014, hanno precisato due aspetti sostanziali di cui devono necessariamente fregiarsi i trust interni per essere ritenuti ammissibili.
Innanzitutto essi devono essere meritevoli di tutela, ossia perseguire un fine che con gli ordinari strumenti del diritto civile non sarebbe altrimenti perseguibile; tale precisazione, inoltre, deve essere obbligatoriamente contenuta nelle premesse dell’atto istitutivo. In secondo luogo, da ultimo, il disponente non può riservarsi ogni potere all’interno del trust, dal momento che qualsiasi trust interno deve comunque passare il primo ed imprescindibile vaglio di conformità ai precetti posti a fondamento della Convenzione, il cui articolo 2, ultimo comma, esclude espressamente tale possibilità.
Prof. Avvocato Roberto Campagnolo
Il Prof. Avv. Roberto Campagnolo, dello Studio Legale Campagnolo e Associati, ha redatto un saggio sul trust.