Articolo di Roberto Campagnolo, avvocato, patrocinante in Cassazione
La costituzione di trust testamentario è espressamente prevista all’articolo 2 della Convenzione dell’Aja, la quale statuisce che il trust possa essere predisposto anche per atto mortis causa.
Esso è regolato dalla legge dello Stato in cui è stato costituito per quanto riguarda i criteri ermeneutici del deed of trust e i poteri del trustee.
Calando la figura giuridica del Trust, propria dei Paesi anglosassoni, nella nostra cultura italiana, è evidente come si presentino notevoli problemi d’inquadramento dello schema trilatero nelle categorie erede – legatario – esecutore testamentario.
Nel Trust testamentario, il disponente (settlor) è ovviamente il de cuius, ma i poteri del trustee vanno oltre quelli dell’esecutore testamentario nell’interesse dell’erede (beneficiary).
In effetti, secondo il diritto anglosassone, il trustee subentra nella titolarità dei beni assegnategli dal de cuius, per l’intero ovvero in una quota parte, divenendone a tutti gli effetti proprietario.
Il più ovvio inquadramento, a questo punto, sarebbe nella figura di erede.
Le disposizioni in materia di percezione del reddito e di ritrasferimento finale dei beni rappresenterebbero dunque un onere cui l’erede – trustee sarebbe tenuto ad adempiere.
Nel Trust, tuttavia, il beneficiario (beneficiary) è l’effettivo destinatario dell’attribuzione del settlor e, allo scioglimento del Trust, ne diviene titolare; ma già al momento della costituzione in Trust si ha una doppia proprietà trustee – beneficiary, che rende impossibile la ricostruzione del rapporto quale puro onere modale.
In caso contrario, il rapporto trustee – beneficiary diverrebbe puramente accessorio ad un’istituzione di erede in capo al trustee che non corrisponde allo schema del Trust: è infatti ovvio che l’unico destinatario finale della delazione è il beneficiary, essendo quello del trustee piuttosto un mandato che un onere.
Pur tuttavia, il diritto in capo al trustee è reale.
E’ vero come il testatore (settlor) non intenda realizzare alcuna liberalità nei confronti del trustee, il cui negozio di attribuzione patrimoniale resta accessorio e strumentale rispetto alla traslazione finale dell’eredità al beneficiary. La causa del rapporto trustee – beneficiary risiede proprio nel negozio di attribuzione strumentale, nella gestione fiduciaria nell’interesse del beneficiary; la proprietà del trustee è una proprietà conformata, un patrimonio separato che i creditori del trustee non possono aggredire. Anche il beneficiario, tuttavia, e neppure al momento dello scioglimento del Trust, diviene erede, rimanendo titolare di una proprietà segregata, e questa segregazione è quella tipicamente ricercata dal settlor.
Siamo, cioè, difronte ad una nuova fattispecie di istituzione testamentaria, il cui la figura del beneficiary si avvicina strutturalmente a quella del legatario.
In effettui, il rapporto trustee – beneficiary è di tipo esclusivamente obbbligatorio, ed il conseguimento dei beni da parte del beneficiary, allo scioglimento del Trust, non è automatico, ma prevede uno specifico atto traslativo e solutorio del deed of trust,.
La delazione del trustee è negozio sospeso ad effetti obbligatori, e può essere correttamente inquadrato nella fattispecie di legato a conformazione obbligatoria.
La dottrina è, tuttavia, assai restia nel ricondurre la fattispecie della costituzione in Trust ad un tertium genus fra erede e legato, e Cfr E. BRUNORI, «Appunti sulle disposizioni testamentarie modali e sul legato », in Riv. dir. civ., 1961, I, p. 472, ove si legge che contro l’autonomia strutturale del modo depone «l’impossibilità, direi istituzionale, di creare un tertium genus, oltre le due, che poi sono le uniche, varietà di disposizioni testamentarie (l’istituzione, appunto, di erede ed il legato). L’art. 588 c.c., seguendo una ininterrotta tradizione, recepisce tale summa divisio con termini che, a mio sommesso avviso, non ammettono dubbi o perplessità».
Di contrario avviso è G. CRISCUOLI, Le obbligazioni testamentarie, II ed., Milano, 1980, p. 203: «l’articolo 588, per quel che ci riguarda, non ha funzione normativa, e quindi, sul piano sistematico, non è impegnativo per l’interprete, dato che dalle altre norme del codice civile deriva chiaramente che istituzione di erede e legato non esauriscono il contenuto aggettivo del testamento». A riprova di ciò, l’Autore nota come «l’articolo 588 c.c., considerato in stretta relazione con il precedente articolo 587 c.c., è incompleto per quanto concerne le previsioni del legato obbligatorio, in quanto nello stesso articolo si considera legatario esclusivamente il beneficiario di una disposizione testamentaria avente per oggetto sostanze, cioè beni del testatore». Da ultimo, giova riconoscere la maggiore flessibilità dell’istituto del Trust rispetto a qualsivoglia atto di disposizione patrimoniale mortis causa: le disposizioni del Trust sono sempre revocabili, ed inoltre l’atto di conferimento in Trust dà al trustee poteri assai più ampi e duraturi rispetto a quelli del semplice esecutore testamentario, il quale è tenuto solo all’amministrazione per la durata massima di un anno.
Il trust “testamentario” può assumere, in concreto, una duplice configurazione a seconda che sia direttamente istituito dal testatore, (c.d. costituzione diretta), ovvero che egli incarichi un soggetto di farlo per lui, facendo onere ad eredi o legatari di costituire in Trust i beni a loro devoluti (c.d. costituzione indiretta). Nel secondo caso, il Trust sorgerebbe per effetto di un’obbligazione testamentaria, il cui erede è il trustee ed il beneficiario acquista i beni in Trust in un secondo momento, per atto inter vivos. Il vincolo in Trust si configura, ai sensi dell’art. 549 cod. civ, come un peso sulla quota di legittima, poiché pregiudica il diritto del legittimario di disporre della propria quota di riserva. Il diritto alla legittima subirebbe cioè, una volta costituito il vincolo in Trust, una degradazione della legittima a mero diritto obbligatorio, con lesione della stessa. Di conseguenza la relativa disposizione mortis causa attributiva della legittima, benché vincolata, sarebbe da considerarsi nulla tout court limitatamente al solo vincolo in Trust. Per ovviare a codesto inconveniente, il disponente può inserire nell’atto costitutivo clausole che obblighino il trustee a liquidare al beneficiario finale, che intenda far valere la nullità della disposizione testamentaria, la quota di legittima libera da pesi e condizioni. In tal caso il Trust continuerà per il resto della durata con riguardo a quanto eventualmente residui nel trust fund. Nel caso, infine, di azione di riduzione da parte del legittimario, varrà la regola sabiniana di cui all’art. 634 c.c. secondo la quale la nullità della disposizione accessoria farà comunque salva la disposizione principale, con conseguente attribuzione della quota di riserva libera dal vincolo in Trust, e perdita della disponibile. Così C. Romano, Gli effetti del trust oltre la morte del disponente: dal trust in funzione successoria al trust testamentario, in Notariato, 2014, 6, p. 593. Secondo R. Franco, poi, Trust testamentario e liberalità non donative: spiragli sistematici per una vicenda delicata, in Riv. Notariato, 2009, 6, p.1449 e ss., in tale ipotesi ricorrerebbe la sanzione dell’inefficacia e non della nullità della disposizione lesiva. M. Lupoi, Lettera ad un notaio conoscitore di Trust, in Riv. Notariato, 2001, p. 1163, propone, invece, che debba essere applicato quanto dettato dall’art. 13 della Convenzione dell’Aja, in forza del quale il Trust che viola i diritti dei legittimari non dovrà essere riconosciuto nell’ordinamento italiano e, più precisamente, la disposizione in favore del Trustee sarà da considerarsi nulla per mancanza di causa. Contra Trib. Lucca, 23 settembre 1997, confermato App. Firenze 9 agosto 2001, che dichiara la validità di un Trust testamentario lesivo della quota di legittima affermando che si debba agire in riduzione. In tal senso anche Trib. Venezia, Sez. pen., 4 gennaio 2005, il quale dichiara la legittimità dei Trust interni.
In conclusione, il Trust testamentario è sicuramente altamente appetibile per la gestione di patrimonio causa la propria funzione segregativa; tuttavia esso presenta ancora profili di criticità, dovuti alla collisione fra la legge regolatrice del Trust e la legge interna italiana, entrambe applicabili in virtù del richiamo, nel nostro Ordinamento, della Covenzione dell’Aja del 1985.